Mentre Bob Dylan viene nominato Nobel per la Letteratura 2016, il Nobel Dario Fo contemporanemente muore... ma meno male che almeno c'è ricambio, coi tempi che corrono e l'idiozia distruttiva che impera.
Mah, purtroppo i grandi se ne vanno (quest'anno prima Umberto Eco, poi Fo) e rimangono solo i piccoli e gli insignificanti.
Ecco l'elogio funebre scritto da Erri De Luca:
Ricordo Dario Fo
Dario Fo e Franca Rame |
In una sua canzone, “Shelter from the storm” Bob Dylan scrive che la bellezza cammina sul filo di un rasoio. Lo stesso si può dire dell’ironia che sta sul tagliente equilibrio del funambolo.
Dario Fo e Franca Rame, sono stati i maestri circensi dell’irriverenza verso le autorità. Ne sono stati ripagati con ostilità e distanza. La fama mondiale, rincarata dal Nobel per la letteratura, è stata trattata dal potere politico come un disturbo della quiete pubblica. Dal ’97 , anno di assegnazione del massimo riconoscimento letterario, a oggi, per diciannove anni questo paese non ha saputo che farsene di lui. Lui non si è dato per celebrato e messo a riposo sopra il piedistallo. Ha continuato a intervenire con le sue opere e con la sua persona nelle tensioni civili italiane. In diverse occasioni gli italiani lo hanno incrociato in piazza, condividendo fisicamente cause necessarie.
A me ha dato pronto sostegno quando venivo processato per le mie parole contrarie al tossico traforo in Val di Susa.
Non era l’intellettuale impegnato che parlava ex cattedra. È stato il cittadino Dario Fo che ha preso impegni scomodi e dolenti, scendendo dal palco per stare insieme.
È stato il più allegro premio Nobel della letteratura. Gli si deve al posto di una lacrima la gratitudine del sorriso.
Dario Fo e Franca Rame, sono stati i maestri circensi dell’irriverenza verso le autorità. Ne sono stati ripagati con ostilità e distanza. La fama mondiale, rincarata dal Nobel per la letteratura, è stata trattata dal potere politico come un disturbo della quiete pubblica. Dal ’97 , anno di assegnazione del massimo riconoscimento letterario, a oggi, per diciannove anni questo paese non ha saputo che farsene di lui. Lui non si è dato per celebrato e messo a riposo sopra il piedistallo. Ha continuato a intervenire con le sue opere e con la sua persona nelle tensioni civili italiane. In diverse occasioni gli italiani lo hanno incrociato in piazza, condividendo fisicamente cause necessarie.
A me ha dato pronto sostegno quando venivo processato per le mie parole contrarie al tossico traforo in Val di Susa.
Non era l’intellettuale impegnato che parlava ex cattedra. È stato il cittadino Dario Fo che ha preso impegni scomodi e dolenti, scendendo dal palco per stare insieme.
È stato il più allegro premio Nobel della letteratura. Gli si deve al posto di una lacrima la gratitudine del sorriso.
Erri De Luca |
E subito appresso un breve pezzo di Erri su Bob Dylan, novello Premio Nobel 2016, e le montagne:
Kailash
Il premio Nobel assegnato a Bob Dylan ingrandisce un dettaglio della sua trasmissione. I suoi versi magnifici sono meno importanti della sua musica e della sua voce che li incendia. Per lui il Nobel alla letteratura è troppo poco. Non esiste riconoscimento più grande di quello che si è già procurato da solo. Lo intendo come il Kailash, la montagna sacra ai tibetani, proibita alle scalate. Si esegue il giro delle sue pendici, lo si osserva da tutti i versanti ma senza via di accesso. Stavolta l’Accademia svedese mi ha fatto pensare alle montagne.
Solo gli dèi potevano abitare i deserti di neve e di ghiaccio scaraventati in su dalle alte maree del sottosuolo, prima che l’alpinismo ci mettesse i ramponi sopra. Le montagne continuano a salire non per farsi salire, ma per tenere compagnia al vento.
Il Nepal è la sede di molte tra le maggiori immensità verticali della terra. Il titolo di Altezze Reali, usurpato dai re, spetta unicamente a loro.
La valle del Khumbu è la pista maestra per raggiungere le pendici dell’Everest. L’ho percorsa insieme agli sherpa, carichi all’inverosimile dei bagagli nostri, scansando i loro yak solenni, che hanno la giusta precedenza sui sentieri scoscesi.
Alcuni scalatori hanno sentito l’impulso della gratitudine verso il popolo dei portatori che si sobbarca il peso e il rischio dei loro spostamenti. Hanno ringraziato costruendo scuole. Conosco quella voluta e realizzata con l’aiuto di Montura da Fausto De Stefani, ne so di un’altra, in cima alla salita che arriva a Namche, villaggio che a semicerchio accoglie il pellegrino. Perché pellegrinaggio è andare sulle creste della terra.
Namche è stazione di sosta per chi s’inoltra nella valle del Khumbu. La sua pista è stata battuta dai più valorosi scalatori. Su una parete si toccano gli stessi appigli tenuti stretti da generazioni. Sul cammino di Namche si mettono i passi sulle orme dei predecessori. Sul cammino di Namche si sta in una carovana del tempo, dove il passato non si trova alle spalle, ma davanti, passato e ripassato innanzi a noi. Si va dietro a molti che per quella stessa pista non hanno fatto ritorno.
Senza raggiungere la temperatura del credente, in qualche posto e in qualche ora però avverto la presenza di assenti. Buffo dire così: la presenza di assenti. Li chiamo come a scuola, quando da una cattedra si chiamavano i nostri nomi e c’era qualcuno che rispondeva “assente” per l’alunno mancante. Ci sono dei luoghi e dei momenti, in montagna, dove mi trovo a rispondere di assenti.
Divago, faccio così quando m’infilo nel vicolo cieco di una cima, in fondo alla quale sbatto contro lo sbarramento del cielo e ho da tornare indietro. Piantare una scuola su terre difficili è piantare un albero. Avrà le sue generazione di frutti, crescerà allargando la sua chioma in alto e la sua ombra in terra. Questo fanno gli alberi, le scuole, le montagne: spargono i frutti e l’ombra.
Solo gli dèi potevano abitare i deserti di neve e di ghiaccio scaraventati in su dalle alte maree del sottosuolo, prima che l’alpinismo ci mettesse i ramponi sopra. Le montagne continuano a salire non per farsi salire, ma per tenere compagnia al vento.
Il Nepal è la sede di molte tra le maggiori immensità verticali della terra. Il titolo di Altezze Reali, usurpato dai re, spetta unicamente a loro.
La valle del Khumbu è la pista maestra per raggiungere le pendici dell’Everest. L’ho percorsa insieme agli sherpa, carichi all’inverosimile dei bagagli nostri, scansando i loro yak solenni, che hanno la giusta precedenza sui sentieri scoscesi.
Alcuni scalatori hanno sentito l’impulso della gratitudine verso il popolo dei portatori che si sobbarca il peso e il rischio dei loro spostamenti. Hanno ringraziato costruendo scuole. Conosco quella voluta e realizzata con l’aiuto di Montura da Fausto De Stefani, ne so di un’altra, in cima alla salita che arriva a Namche, villaggio che a semicerchio accoglie il pellegrino. Perché pellegrinaggio è andare sulle creste della terra.
Namche è stazione di sosta per chi s’inoltra nella valle del Khumbu. La sua pista è stata battuta dai più valorosi scalatori. Su una parete si toccano gli stessi appigli tenuti stretti da generazioni. Sul cammino di Namche si mettono i passi sulle orme dei predecessori. Sul cammino di Namche si sta in una carovana del tempo, dove il passato non si trova alle spalle, ma davanti, passato e ripassato innanzi a noi. Si va dietro a molti che per quella stessa pista non hanno fatto ritorno.
Senza raggiungere la temperatura del credente, in qualche posto e in qualche ora però avverto la presenza di assenti. Buffo dire così: la presenza di assenti. Li chiamo come a scuola, quando da una cattedra si chiamavano i nostri nomi e c’era qualcuno che rispondeva “assente” per l’alunno mancante. Ci sono dei luoghi e dei momenti, in montagna, dove mi trovo a rispondere di assenti.
Divago, faccio così quando m’infilo nel vicolo cieco di una cima, in fondo alla quale sbatto contro lo sbarramento del cielo e ho da tornare indietro. Piantare una scuola su terre difficili è piantare un albero. Avrà le sue generazione di frutti, crescerà allargando la sua chioma in alto e la sua ombra in terra. Questo fanno gli alberi, le scuole, le montagne: spargono i frutti e l’ombra.
Bob (Zimmerman) Dylan Premio Nobel per la letteratura 2016 |