AN ANTHOLOGY OF THOUGHT & EMOTION... Un'antologia di pensieri & emozioni
הידע של אלוהים לא יכול להיות מושגת על ידי המבקשים אותו, אבל רק אלה המבקשים יכול למצוא אותו

Tuesday, 15 March 2016

LATHE BIOSAS (Λάθε Βιώσας = Vivi nascosto)

Diogene

Mi piace molto, questa espressione di Epicuro. Lathe biosas significa "Vivi nascosto". Un paradosso a tutti gli effetti ai tempi di Internet e delle reti sociali, dove di nascosto non c'è proprio più niente e anzi... tutto (ma proprio tutto) è fatto per essere esposto, disvelato. Nell'anonimato di un Facebook si rischia di travalicare i confini del personale e la comunicazione diventa un po' come un parlare a se stessi, ma nello stesso tempo diventa anche uno schermo bianco dove puoi immaginare  l'interlocutore ideale e allora.. decadono i freni inibitori, le censure, le paure e i filtri  e... lasci libera voce alla tua intimità più profonda.

A volte credo che si rischi di venire sommersi dall'Altro e dalle sue implicite richieste, soprattutto se l'Altro ha un equilibrio fragile; di conseguenza è facile spaventarsi e fuggire impauriti o precipitarsi a ristabilire le distanze. E' un po' come giocare con il fuoco, bisogna essere agili, vigili ed esperti per non bruciarsi o altrimenti bisogna goderne senza temere le scottature; penso che a volte si possano sfiorare belle profondità, mentre in altre veniamo a contatto con i malesseri patologici dell'Altro. E siccome, ahimè, anche noi siamo equilibri fragili, devo dire che questo tipo di comunicazione ci fa un po' paura. 

Ma come si fa, adesso, a vivere nascosti? Ai tempi di Epicuro era la vita politica e sociale quella da cui rifuggire per perseguire la propria felicità indisturbati. Oggi questa frase assumerebbe un altro significato, completamente diverso: i greci certo non avevano il problema dell'overflow di informazioni... noi sì. Ed enorme, incessante. Ci raggiunge, ovunque. E ne siamo totalmente schiavi, altro che "vivi nascosto" – come se da qualche parte ci fosse un imperativo morale (Kant) che ci ordina di essere sempre collegati, aggiornatiAnche io, scrivendo in questo momento e decidendo di pubblicare i miei pensieri sto contribuendo ad aumentare l'entropia devastante determinata dal flusso continuo di dati e informazioni generati da chiunque. Non si vive nascosti, si vive in rete. Il posto meno nascosto della terra.

Come è possibile applicare il "vivi nascosto" di Epicuro? E, oltre a essere (forse) possibile, c'è qualcuno che davvero lo vuole?

Allora prendiamo in considerazione Lucio Anneo Seneca ed il suo De tranquillitate animi, trattato facente parte di quel gruppo di dodici libri che formano i Dialogi (tra gli altri, ad esempio, il De brevitate vitae, il De vitabeata, il Deprovidentia) e che costituiscono, con le Epistulae morales ad Lucilium, il corpus della filosofia senecana.

Unico testo realmente dialogico dei dodici inseriti nei Dialogi - i cui testi non si presentano tanto come dialoghi quanto come trattazioni specifiche in cui Seneca si rivolge di volta in volta a un interlocutore distinto - il De tranquillitate animi fa parte dell’ideale trilogia dedicata all’amico Sereno1 completata dal De constantia sapientis e dal De otio, nella quale Seneca si allontana dalle convinzioni epicuree per abbracciare l’etica stoica.

Il De tranquillitate animi, in particolare, affronta la questione della partecipazione del saggio alla vita politica; si tratta di un tema fondamentale non solo nella riflessione senecana (anche a causa dellevicende autobiografiche dell’autore, consigliere di Nerone e infine costretto al suicidio dopo la congiura dei Pisoni2 del 65 d.C.), ma in buona parte della filosofia romana d’età repubblicana (come ad esempio in Cicerone). 

Nei primi capitoli del trattato, Seneca risponde alle domande dell’amico Sereno, che si interoga sull’opposizione otium - negotium e su come sia possibile risolvere quel taedium vitae che, nella quotidianità, trascina l’uomo nell’inquietudine e nell’insoddisfazione. Il discorso iniziale di Sereno, ancora incerto tra una vita ripiegata sul privato e il desiderio di azione pubblica, occupa tutto il primo capitolo. Oscillante tra queste due tendenze, Sereno si rivolge al filosofo Seneca ponendogli la questione dell’antitesi tra la vita contemplativa e l'attività mondana. Da qui parte un “dialogo” che metterà in evidenza la differenza sostanziale epicureismo e stoicismo.

Seneca risponde infatti all’amico analizzando le passioni che governano l’animo umano. Secondo lui, gli uomini ricercano la felicità negli impegni mondani, ma questi, per loro initma natura, finiscono col condurre all’allontanamento dalla vita politica in favore della ricerca di uno spazio personale e contemplativo: ansie, pressioni, angosce contribuiscono infatti a far maturare il desiderio di fuga dal mondo (secondo la formula diffusa del lathe biosas, ovvero “vivi nascosto”). L’esempio, nelle prime righe del testo, è quello di Atenodoro di Tarso (74 a.C. - 7 d.C.), che sotto il principato di Augusto, preferì abbandonare gli impegni di corte. Eppure, neanche nel ritiro a vita privata c’è vera pace: l’otiumstimolerà sempre il desiderio opposto di tornare alla vita attiva. L’irrealizzazione del desiderio, insomma, è ciò che provoca la frustrazione: l’inerzia e l’invidia per colui che invece riesce a realizzare con successo i propri progetti, sono ciò che porta in ultima analisi al tedio esistenziale3.

La soluzione a questo stato di dissidio e paralisi interiore per Seneca è quella di partecipare ai doveri sociali secondo la propria indole; coloro che possiedono un animo teso all’azione è giusto che partecipino alla vita pubblica, ma essendo ben consapevoli degli innumerevoli rischi che questa porta. Certo è che lo stato ideale sarebbe il raggiungimento dell’atarassia, ma nella vita quotidiana non è una soluzione possibile. Allora il saggio dovrà rendersi utile ai propri concittadini e, invece di astenersi a priori dalla vita pubblica, cercare di fare la propria parte per il bene comune. L’esempio più rappresentativo è del resto proprio quello di un filosofo: Socrate, anche sotto la tirannia, non si sottrasse al proprio “dovere” di stimolare, attraverso al maieutica, il ragionamento e la riflessione critica dei suoi concittadini.

Le passioni non vanno quindi annullate ma moderate, al fine di indirizzare le proprie energie per un miglioramento della società, in un accordo armonico tra vita attiva e otium meditativo. La “tranquillità” è allora la medicina dell’animo più adatta per districarsi negli affanni della vita attiva e per godere di un otium produttivo e non inerte. A sostegno di questa tesi - che in Seneca media le posizioni di Epicuro e dello stoicismo più intransigente - si portano esempi classici di filosofi, uomini politici e militari di professione: lo stoico Zenone di Cizio (336 ca. - 263 a.C.) che si compiace d’aver perduto le proprie ricchezze in un naufragio; Catone l’Uticense (95-46 a.C.), esempio di virtù repubblicane di fronte al potere; Giulio Cano, messo ingiustamente a morte dall’imperatore Caligola (12-41 a.C.), che si presenta sereno di fronte al boia dopo aver giocato a lungo a scacchi.

La questione degli influssi filosofici dietro al De tranquillitate animi deve prendere innanzitutto in considerazione l’identità del dedicatario ed interlocutore dell’opera, cioè Anneo Sereno, amico personale di Seneca. Convertitosi dall’epicureismo allo stoicismo, Sereno si interroga sull’opportunità che il saggio partecipi alla vita pubblica, e quindi politica. Le posizioni delle due scuole antiche sono, a tal proposito, quasi diametralmente opposte.

Infatti, secondo la filosofia di Epicuro, il saggio non deve occuparsi di questioni pubbliche, in quanto ogni occupazione civile allontana inevitabilmente il saggio dal lungo percorso verso l’atarassia. Solo se la città verte in una situazione estremamente grave, è lecito che il saggio abbandoni la vita contemplativa per accorrere in soccorso della patria. Gli stoici, invece, assumono una posizione più “pratica”, sottolineando come sia fondamentale che il saggio prenda parte attiva alla vita politica, al fine di essere con il suo operato e le sue azioni di esempio agli altri cittadini.

Seneca, di fronte a questo dissidio, suggerisce una mediazione tra i due estremi, rappresentati da un otium prettamente contemplativo e da quell’impegno a servizio dello Stato che è caratteristico del civisromano. Il comportamento da mantenere dovrà allora, secondo Seneca, essere coerente alla situazione politica, e rivolto sempre al mantenimento della serenità interiore e della capacità di giovare agli altriattraverso l’esempio personale. Seneca si dilunga così in considerazioni di carattere pratico, come la riflessione sull’inquietudine causata da un’eccessiva ricchezza, o a consigli su come riuscire a conseguire quella tranquillitas, che si basa su una buona capacità di coltivare le amicizie e di essere tollerante nei confronti del prossimo. Insomma, la forza morale che consente al saggio di procedere sulla via della virtù è l’unico mezzo per raggiungere l’imperturbabilità necessaria alla serenità interiore. A queste considerazioni non saranno estranee delle circostanze autobiografiche: è infatti probabile che il “dialogo” sia stato composto qualche anno prima del definitivo ritiro dalla vita pubblica. Di conseguenza, non si è ancora manifestata in Seneca la tendenza favorevole all’otium filosofico come dimensione esclusiva per l'attività del filosofo.

________________
1 Anneo Sereno, funzionario della corte di Nerone (37-68 d.C.), si convertì dall’epicureismo alla filosofia stoica, diventando un discepolo di Seneca (con cui forse era imparentato).
2 La morte di Seneca, da cui traspaiono tutti gli insegnamenti dello stoicismo, è ricordata in un passo celebre (XV, 62-64) degli Annales di Tacito.
3 Da questo punto di vista, gli svaghi in cui chi sprofonda nella noia si diletta per distrarsi sono molteplici in ogni punto d’Italia, ma raggiungono il loro apice a Roma, dov’è possibile, con l’accesso ai giochi circensi, godere dello spargimento del sangue di altri uomini.
________________
________________


‘Get Off Facebook And Get A Life’
13 March, 2009

A psychologist is urging people to get off Facebook and other social networking sites, and get a life instead.

Dr Aric Sigman says the amount of time we spend with each other has slumped dramatically and in turn is damaging our health.

He says our devotion to such sites could alter the way genes work, upset immune responses, hormone levels, and the function of arteries, and influence mental performance.

Levels of hormones such as the “cuddle chemical” oxytocin, which promotes bonding, altered according to whether people were in close contact or not.

This could increase the risk of health problems as serious as cancer, strokes, heart disease, and dementia.

Dr Sigman spells out his warning in the latest issue of Biologist, the journal of the Institute of Biology, and maintains that social networking sites have played a significant role in people becoming more isolated.

He said: “Social networking is the internet’s biggest growth area, particular among young children.

“A quarter of British children have a laptop or computer in their room by the age of five and they have their own social networking sites, like the BBC’s myCBBC. It’s causing huge changes.”

Dr Sigman said 209 “socially regulated” genes have been identified, including ones involved in the immune system, cell proliferation and responses to stress.

Electronic media is also undermining the ability of children and young people to learn vital social skills and read body language, he said.

Dr Sigman continued: “One of the most pronounced changes in the daily habits of British citizens is a reduction in the number of minutes per day that they interact with another human being.

“In less than two decades, the number of people saying there is no one with whom they discuss important matters nearly tripled.

“Parents spend less time with their children than they did only a decade ago. Britain has the lowest proportion of children in all of Europe who eat with their parents at the table. The proportion of people who work at home alone continues to rise.

“I am worried about where this is all leading. It’s not that I’m old fashioned in terms of new technology, but the purpose of any new technology should be to provide a tool that enhances our lives.

“Social networking sites should allow us to embellish our social lives, but what we find is very different. The tail is wagging the dog. These are not tools that enhance, they are tools that displace.”

Research suggests the number of hours people spend interacting face-to-face has fallen dramatically since 1987 as electronic media use increases.

(Source: ITN)