mi viene da piangere...
[da GEOGRAFICAMENTE (2015)]
I terroristi dello Stato Islamico (Isis) hanno distrutto numerose STATUE, FREGI E ALTRI OGGETTI D’ARTE PRE-ISLAMICI esposti nel MUSEO DI MOSUL, nel NORD DELL’IRAQ. L’opera di distruzione è documentata in un VIDEO DELLA DURATA DI CINQUE MINUTI DIFFUSO SU ALCUNI SITI WEB ISLAMICI: secondo gli esperti i reperti distrutti comprendono sia degli originali che delle copie. La direzione del METROPOLITAN MUSEUM di NEW YORK ha definito l’accaduto “UNA CATASTROFE”, ricordando come il MUSEO DI MOSUL “copra TUTTO L’ARCO DELLA CIVILTÀ NELLA REGIONE, con importanti SCULTURE DI CITTÀ REALI quali NIMRUD, NINIVE e HATRA”: “Questa brutalità gratuita deve cessare, prima che tutte le vestigia del mondo antico vengano annientate”. (26/2/2015, da http://www.askanews.it/ ) -
Gli adepti dell’ISIS stanno distruggendo l'arte e la civiltà del passato, obliterando i tesori archeologici della Mesopotamia. Hanno demolito gran parte delle antichissime mura di Ninive (provincia del Nord Iraq, Ninive è stata l’antica capitale dell’impero assiro, i cui resti sono all’interno dell’odierna Mosul) e statue e altri resti dell’arte assira dell’ottavo secolo a.C. La stessa distruzione sta abbattendosi su tutti gli importantissimi siti archeologici di cui i terroristi sono territorialmente in possesso, Iraq, Siria, Afghanistan, ecc…
Mappa dell’antica MESOPOTAMIA (i CONFINI dell’attuale Iraq corrispondono più o meno, se si aggiunge un lembo di territorio siriano, all’antica Mesopotamia: tra il TIGRI e l’EUFRATE) |
Probabilmente ciò accade perché quei musei, quei siti archeologi, sono oggetto della bellezza e della sacralità nell’evoluzione della storia dei popoli: e l’accanimento e distruzione viene motivata perché sono stati creati prima dell’avvento dell’islamismo. Questa è la motivazione “ufficiale”. Ma forse questa è solo una motivazione secondaria, del tutto secondaria. Pare che la crudezza verso ogni cosa che rappresenta bellezza artistica, storia, sia dovuta anche alla volontà di far paura e apparire al mondo occidentale (ma in particolare al mondo islamico, perché la vera rivolta degli integralisti dell’Isis è in primis contro il mondo islamico che cerca una sua strada di vita e sviluppo rapportandosi al mondo intero), quella di far apparire se stessi integralisti terroristi islamici come la forza del terrore non disposta ad alcuna integrazione con nessuno, e desiderosa di dar battaglia a chiunque sia diverso da loro. O forse questo accade solo per “l’anarchia della guerra”, dove violenze (sulle persone, sulle cose) e atti irragionevoli, fanno parte sempre di qualsiasi condizione di guerra, dove tutto è possibile, tutto è fattibile, senz’alcun limite etico, di umanità.
Per questo la distruzione delle bellezze artistiche (siano esse architettoniche, scultoree, pittoriche…) è forse anche un desiderio di distruzione del mondo intero. Poi, chiaramente, si fa anche del commercio, per introitare soldi: si staccano i bassorilievi dalle pareti per venderli sul mercato nero: perché nell’occidente corrotto innumerevoli sono i mercanti d’arte e gli “appassionati” disposti a pagare per avere in casa un reperto antico della Mesopotamia.
Tutto questo accade, ci vede inermi spettatori, nel nord dell’Iraq, il punto di incontro fra i grandi imperi dell’antichità, che è un enorme tesoro archeologico, con al centro Mosul, città in mano allo Stato islamico.
La stima annuale di 2 miliardi e 200 mila dollari dell’Unesco sui proventi del traffico illecito di beni culturali nel mondo potremmo dire che di ora in ora si rivela obsoleta (questa valutazione): va sempre più rivista verso l’alto dopo il sacco dell’Iraq e l’ascesa del Califfato (ora, si dice, siamo intorno ai sei-sette miliardi di dollari l’anno…) ma si tratta solo di ipotesi di studiosi anch’essi senza i mezzi necessari a valutare la distruzione dei siti archeologici e del commercio dei reperti (quando non vengono resi in frammenti, in polvere, dai terroristi dell’Isis).
Ma questo commercio e distruzione di luoghi storici, archeologici, d’arte, avviene in un tutto il mondo arabo, anche quello non controllato ora dall’Isis: l’Antiquities Coalition, un’associazione di archeologi e studiosi di storia antica, valuta dai 3 ai 5 milioni di dollari il traffico dal solo Egitto negli ultimi tre anni (vedi l’articolo di Fabio Sindici, ripreso qui di seguito da “la Stampa”).
La distruzione dei resti di civiltà antiche che avevano resistito a commerci illegali, distruzioni di guerre civili e non, passaggi di eserciti, abbandono e disinteresse delle autorità… questa distruzione incessante e accelerata che stiamo ora vivendo, è episodio gravissimo del momento storico che stiamo vivendo. E, nella nostra apatia, non riusciamo a credere e a pensare, oltre la nostra quotidianità, che siamo in una guerra totale, pur frammentata nelle varie parti del pianeta: in primis proprio nell’avanzare del terrorismo islamico in territori come l’Iraq, la Siria, il Mali, la Nigeria, la Libia… e quant’altro potrà esserci nei prossimi giorni settimane.
L’apatia occidentale, o perlomeno l’attendismo che esiste ora, denota questo stato di difficoltà a prendere in mano la situazione, provvedere a fare qualcosa di veramente concreto. Perché anche l’Occidente è frammentato, diviso, forse interessato ai contesti delle crisi che ci sono all’interno di ciascun paese-nazione (crisi economica, della politica…), di ciascuna area geografica di riferimento (parte dell’Europa, le tante piccole e divise aree europee, l’Asia e i contesti geografici diversi con un Medio oriente dalle tante problematiche, l’America con problemi interni di tenuta dell’ordine sociale, l’Africa in abbandono e fuori dall’attenzione di tutti….).
Riprendere (o meglio “prendere”) in mano il destino geopolitico del mondo, in modo autorevole e superando le conflittualità tra stati, dovrebbe essere dato proprio dalla necessità e priorità di affrontare l’Isis, un terrorismo che distrugge non solo la vita delle comunità e delle persone che considera diverse da loro, ma anche il patrimonio intero dell’umanità, fatto di opere artistiche, archeologiche, che sono riferimento dello sviluppo delle civiltà umane e che ci riguardano tutti con partecipazione, emozione.
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Il sito archeologico di Nimrud, ora distrutto dalla furia dello Stato islamico |
IL VIDEO DELLA DISTRUZIONE DEL MUSEO:
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LA STORIA VITTIMA DEL FANATISMO
di Domenico Quirico, da “la Stampa” del 27/2/2015
– Perché il bassorilievo di un toro antropomorfo del primo millennio assiro fa paura al califfato?
Perché statue della meravigliosa arenaria di Mosul spaventano lo stato islamico, occupano i suoi sgherri come i bombardamenti americani: tanto che li fanno a pezzi, si accaniscono sudando nella polvere, li gettano al suolo sbriciolati come se fossero nemici armati o ribelli?
Perché la Storia è il principale avversario dello stato totalitario, di ogni Stato totalitario: come gli uomini, più degli uomini. Per il califfato c’è, infatti, una Storia impura come ci sono uomini impuri: ed è tutto quello che è esistito prima della linea tracciata sul passato, il nostro e il loro.
Le pietre, le statue, i templi parlano. Tutti li possono leggere. Parlano più dei sermoni e dei discorsi: sono lì, esistono per smentire chi vuole semplificare, annullare, maledire: chi esige un passato senza sfumature periodi svolte. Allora bisogna ucciderle, quelle pietre, polverizzarla per affermare che la Storia è stata scritta di nuovo e definitivamente. Altrimenti l’impalcatura della finzione cade, l’avvento islamista diventa arbitrario, incerto, una parentesi che finirà, prima o poi.
Per questo in Iraq, come prima in Afghanistan, e poi per i libri e le tombe di Timbuctu, la storia e l’archeologia sono diventate ostaggi e vittime: come gli uomini, anche loro sono finite nella lista di ciò che contamina la società perfetta. Che è solo quella omologata da questa sterminata ubriacatura di fanatismo che, come la peste, marcia dall’oriente verso occidente.
Hanno scelto male il luogo del loro primo califfato, gli uomini di Daesh: hanno scelto proprio la terra tra i due fiumi dove la Storia è nata, si è composta e scomposta mille volte, ha cancellato imperi e città, invasori e vittime nutrendosi delle pietre dove passavano il vento e la sabbia, ne ha consumato le brevi glorie per trasformarsi e costruire di nuovo. Continuamente. Intarsiata come le opere della partica Hatra, ieri distrutte, di innumerevoli vibrazioni interne. Altre civiltà, altri mondi, altri uomini.
Per secoli, qui, sul ciglio del deserto e delle montagne dove si annidavano i nomadi, gli invasori, affacciata sul verde come sul mare, la civiltà ha ordito il tempo mai omogeneo dell’uomo. Dietro, il deserto; come riserva inesauribile di fame di sete di morte.
In mezzo il fiume con le città, la scrittura, i templi di dei sempre diversi, le palme, i canali per l’irrigazione, la vita. E poi il verde dell’altra riva e poi, subito dopo, come un bastione, l’altro deserto, quello degli arabi invasori. Senza questo spazio fisico non si può leggere ciò che nei millenni è stato costruito, ricostruito, copiato. Gli scalpellini assiri rinettavano i blocchi di materia non ancora incompiuti.
Sembra di udire il suono argentino di quei colpi minuti levarsi nell’aria come il frullare delle ali di uccelli. I raggi del sole come zagaglie sembrano scheggiare ancora la pietra arrostita dolcemente, cotta e ricotta e poi mielata. Quei raggi sembrano ancora sfiorare, dopo secoli, la materia di quei tori giganteschi che, all’ingresso del Palazzo, scandivano magiche formule di buona fortuna e di benevolenza degli dei.
Erano divinità crudeli, spietatamente immanenti sugli uomini come il dio che, illecitamente arruolato, muove il trapano iconoclasta di questi lanzichenecchi che credono di essere santi.
Ancora, come per le infami esecuzioni degli ostaggi, non siamo noi i destinatari di questi delitti. Sono gli altri musulmani. Sono loro che devono imparare il brusco messaggio: la Storia non esiste più, è iniziata la Storia nuova, assoluta e unica, che è quella dello Stato islamista.
Forse i fanatici possono cacciare e uccidere tutti i cristiani, gli alauiti, gli yazidi, i musulmani tiepidi. Ma la Storia è troppo grande per essere uccisa. Ogni qualvolta, grattando la terra come accade in Siria e in Iraq, spunta un frammento di argilla o di arenaria, grida la irrevocabile complessità del Tempo dell’uomo. (Domenico Quirico)
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QUELL’ODIO CIECO CHE VUOLE CANCELLARE ANCHE LA STORIA
di Adriano Sofri, da “la Repubblica” del 27/2/2015
ECCO i nuovi cinque minuti di video che i vanitosi farabutti del sedicente Stato Islamico hanno messo in rete: mostrano la fatica meticolosa con cui distruggono a colpi di mazza e rifiniture di martello pneumatico e trapano le sculture custodite in un museo di Mosul.
Pezzi sumeri, assiri, babilonesi. I teppisti non hanno uniformi, sono dilettanti radunati per la buona azione comune, in camicioni bianchi o in tute nere, o in borghese maglietta e pantaloni. Si sono divisi il lavoro: alcuni spaccano e sbriciolano, altri riprendono e fotografano. Addestrati a farlo con gli umani inermi, sanno ripeterlo con le statue sacrilegamente umane e altrettanto inermi: non trovano colli cedevoli alle lame, dunque le decapitano, dopo averle atterrate, a colpi di mazza.
Hanno montato accanto, nello stesso video, la vecchia veduta del primo ritrovamento ottocentesco della Porta dedicata al dio Nergal, col filmato della distruzione di una delle due statue colossali raffiguranti un toro alato dalla testa umana, che decoravano il portale cerimoniale di accesso alla città più grande e splendida del suo tempo, 2.800 anni fa, la Ninive assira di Sennacherib e di Assurbanipal.
I musei, come questo di Mosul, e le biblioteche, come quella centrale di Mosul preziosa di 100 mila volumi e ottomila manoscritti antichi, dalla quale gli stessi energumeni hanno tratto i libri con cui celebrare il loro rogo a cielo aperto, sono fatti per ricordare la gloria che passò: i monumenti che uomini costruirono e fecero costruire perché sopravvivessero loro, e la rovina che avrebbe coperto umani e monumenti, fino a che le generazioni a venire le riportassero alla luce.
L’Iraq ha dodicimila siti archeologici di rango, il territorio occupato dall’Is ne ha 1.800. Una delle sue prime imprese fu la distruzione della moschea-mausoleo del profeta Giona. L’abbiamo fatto anche noi, qualcuno ammonirà, abbiamo decapitato il re di Francia e le statue dei re di Notre Dame. Ma questi non sono repubblicani, e decapitano ad altezza d’uomo e di donna qualunque. Dopo gli stati canaglia, le canaglie che si fanno Stato.
Questi teppisti del Califfato, fieri di barbe e ciabatte, fingono di vendicare un loro Dio oltraggiato da figure di umani e di animali, ma sono compiaciuti di odiare il passato e di vivere nel presente immutabile del loro profeta. Non vogliono restaurare un’epoca insidiata e profanata dalla modernità: stanno in un loro tempo istantaneo e sospeso che non ha bisogno di durata e lecca la mano della morte.
Sono emuli della creazione dal nulla all’altro capo della cosa: l’annientamento di tutto ciò che è stato lentamente costruito e sedimentato. Ammazzano, umani di carne e ossa e umani di pietra, e aspettano, ubriachi di sé, d’essere ammazzati.
La storia, grandiosa com’è stata, non era meno crudele, e Sennacherib fece incidere a perpetua memoria: «Gli abitanti di Babilonia, giovani e vecchi, io non li risparmiai, e dei loro cadaveri riempii le strade della città». Teneva alla memoria, lo incideva nella pietra. Anche lui, il grande signore, non calcolò abbastanza il suo tempo, e quando i figli lo uccisero le grandi sculture della porta di Nergal restarono non finite nei dettagli, e le hanno finite ora gli imbestialiti dell’Is. Questi bruciano il tempo, si fanno il selfie appena prima della macelleria di ostaggi, della strage suicida.
La domanda è: quanto dureranno ancora? Quanto ancora il resto del mondo, il mondo dei premurosi scavi archeologici, di musei, delle biblioteche, della cura del passato e della nostalgia di futuro, starà a guardare i loro video? (Adriano Sofri)
Le mura di NINIVE sono scampate a 2700 anni di storia turbolenta. Per lo meno fino all'arrivo del Califfo ABU BAKR AL BAGHDADI, che ha promesso di demolirle (parte delle mura di Ninive a Mosul) |
“SCAVIAMO VEGLIATI DAI PESHMERGA PER SALVARE I TESORI DELL’IRAQ”
di Giordano Stabile, da “la Stampa” del 3/3/2015
– Il direttore della missione archeologica italiana: “Danni gravissimi – L’Isis stacca i bassorilievi dalle pareti per venderli sul mercato nero –
Un mondo ancora in gran parte inesplorato. Una terra promessa per gli archeologi che si è dischiusa solo da pochissimi anni, dopo che la dittatura di Saddam Hussein, con il suo tentativo di genocidio del popolo curdo, aveva congelato tutto. Il Nord dell’Iraq, il punto di incontro fra i grandi imperi dell’antichità, è un enorme tesoro archeologico, con al centro quella Mosul in mano allo Stato islamico da dove arrivano le immagini dello scempio dell’antica Ninive.
«I DANNI SONO INCALCOLABILI – racconta l’archeologo Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione archeologica in Iraq dell’Università di Udine, appena tornato dalla regione -. Ed è impossibile il riscontro diretto. Il che è ancora più angosciante». LO CHOC PER IL VIDEO DOVE GLI ISLAMISTI MOSTRANO LA DISTRUZIONE DEL MUSEO DI MOSUL È ANCORA FORTE. «Dalle immagini possiamo capire che per fortuna alcune statue erano copie in gesso. Ma le altre, dove si vedono quegli sciagurati accanirsi con le mazze, erano originali».
Statue del periodo partico del sito di Hatra, BASSORILIEVI ASSIRI. E soprattutto i colossali TORI ANDROCEFALI, con la testa di uomo, provenienti dalla porta del dio Nergal, il dio che governava il mondo dei defunti». Quella di NERGAL era LA PIÙ IMPORTANTE DELLE QUINDICI PORTE DELLE MURA DI NINIVE, fatte costruire dal re Sennicherib.
Le mura di Ninive, l’antica capitale dell’impero assiro i cui resti sono all’interno dell’odierna Mosul, «che Sennacherib trasformò in una metropoli di 750 ettari con una cinta muraria lunga dodici chilometri, ancora molto ben conservata». Roma imperiale, la più grande città dell’antichità, aveva una superficie di 1800 ettari e mura lunghe 19 chilometri. LE MURA DI NINIVE SONO SCAMPATE A 2700 ANNI DI STORIA TURBOLENTA. PER LO MENO FINO ALL’ARRIVO DEL CALIFFO ABU BAKR AL BAGHDADI, CHE HA PROMESSO DI DEMOLIRLE.
«Fino a ora le notizie di distruzione non sono confermate – rassicura Morandi Bonacossi -. Un nostro collega, che non possiamo nominare per ragioni di sicurezza, è ancora a Mosul, e non ha riscontrato demolizioni. Ma nelle ultime settimane gli islamisti sembrano ancora più accaniti». C’è stato IL ROGO DI DIECIMILA LIBRI ANTICHI DELLA BIBLIOTECA, L’ASSALTO AL MUSEO, «E IL SACCHEGGIO DI NIMRUD, altro sito importantissimo: hanno segato e asportato bassorilievi dell’IX secolo a. C. probabilmente per poi venderli sul mercato nero».
Il saccheggio degli islamisti, anche come fonte di finanziamento, è sistematico. E il timore è forte per gli altri siti del Nord iracheno sotto il dominio dello Stato islamico. Come ASSUR, culla della civiltà assira, TIKRIT, e SAMARRA, «una delle grandi residenze dei califfi arabi abbasidi, con il suo magnifico minareto elicoidale», spiega l’archeologo. Più a Nord-Est, nel Kurdistan ora quasi indipendente, invece continua il LAVORO DI CONSERVAZIONE, PROTETTO DAI PESHMERGA, I COMBATTENTI CURDI.
«La mia équipe è impegnata nel PROGETTO TERRA DI NINIVE – racconta Morandi Bonacossi – la ricostruzione, catalogazione e valorizzazione degli insediamenti nella campagna di Ninive, dalla preistoria agli ottomani». Con siti come Tell Gomel, il luogo della battaglia di Gaugamela dove nel 331 a. C. Alessandro Magno sconfisse i persiani.
E UNO STRAORDINARIO SISTEMA DI ACQUEDOTTI, il primo della storia, scoperto dagli italiani: «Se ne conosceva solo uno, ne abbiamo ritrovati altri quattro. In tutto 240 CHILOMETRI DI CANALIZZAZIONI, con impressionanti ponti in pietra». Un’opera voluta dal RE SENNACHERIB per irrigare, portare acqua a Ninive e «creare un paesaggio di tipo imperiale, secoli prima di Roma». Un tesoro inestimabile, protetto dalle mani degli archeologi. E dai peshmerga. (Giordano Stabile)
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FURIA DEVASTATRICE DELL’ISIS: RASA AL SUOLO CON LE RUSPE L’ANTICA CITTÀ ASSIRA DI NIMRUD
– Nimrud: i jihadisti con i bulldozer nella città fondata nel 13° secolo a.C., gioiello dell’era assira –
da “la Stampa” del 5/3/2015
Il ministero iracheno del Turismo e delle Antichità, con un post sulla sua pagina Facebook, ha affermato che l’Isis ha «raso al suolo» con dei bulldozer l’antico sito archeologico assiro di Nimrud, nei pressi di Mosul.
Un ufficiale addetto alle antichità del governo iracheno ha confermato la notizia, dicendo che la distruzione è cominciata dopo le preghiere di mezzogiorno. «Fino ad ora – ha aggiunto – non sappiamo fino a che punto il sito sia stato distrutto».
L’antica città di Nimrud, fondata nel 13° secolo prima di Cristo, è universalmente riconosciuta come uno dei gioielli dell’era assira. Si trova 30 chilometri ad est della città di Mosul, sul fiume Tigri.
L’attacco ha scatenato l’allarme e la costernazione nel mondo, gli archeologi e gli esperti di antichità comparano questa distruzione per gravità a quella del 2001, quando in Afghanistan i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan.
Già la scorsa settimana erano apparsi in rete video che mostravano la distruzione delle statue assire nel museo di Mosul. L’Isis la chiama “promozione dei valori e della virtù”.
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L’ISIS PROFANA NIMRUD, QUEI CAPOLAVORI FINIRANNO NEL MERCATO ANTIQUARIO ILLEGALE
di Paolo Matthiae*, da “Il Messaggero” del 7/3/2015
IL DISASTRO
NIMRUD non è un sito archeologico qualunque del mondo orientale antico. È una Firenze, una Dresda, una Aquisgrana dell’antichità preclassica. Capitale dell’impero d’Assiria tra gli inizi del IX secolo e la fine dell’VIII secolo a.C, l’antica KALKHU, fondata nel XIII secolo da Salamanassar I, fu completamente trasformata in sfarzosa capitale dal grande Assumasirpal II nella prima metà del IX secolo a.C e vi eressero nuovi sontuosi palazzi reali, dopo di lui, Salmanassar III, Shamshi-Adad V, Tiglatpilser III, Asarhaddon e, con i suoi oltre 350 ettari di superficie, rimase sempre una delle metropoli dell’impero, anche quando Ninive divenne, agli inizi del VII secolo, la nuova splendida capitale.
GLI SCAVI
Oggetto di scavi sensazionali, dalla metà dell’Ottocento, ad opera di H.A. Layard, vi lavorò a lungo alla metà del Novecento Max Mallowan, sempre assistito dalla celebre moglie Agatha Christie, e nuovi scavi vi furono condotti da archeologi iracheni, polacchi, italiani, fin quasi alla fine secolo scorso.
Una massa di rilievi storici di eccezionale qualità, scoperti nell’Ottocento, sono oggi tra i reperti più ammirati del Museo Britannico di Londra: una sala spettacolare raccoglie tutti i rilievi storici di Assumasirpal II, che sono tra i massimi capolavori dell’arte di tutti i tempi.
Tra il 1988 e il 1989 l’archeologo iracheno Muhazim Mahmud Hussein scoperse, sotto le pavimentazioni del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud, le ricchissime tombe intatte di tre regine d’Assiria ricolme di gioielli di impareggiabile raffinatezza soprattutto degli anni di Salmanassar III e di Sargon II, che si salvarono dall’orrendo saccheggio del Museo di Bagdad dell’aprile del 2003, perché provvidenzialmente depositate, all’inizio dell’invasione americana, nel caveau della Banca centrale di Bagdad.
Ieri, il terrificante annuncio di uno sconvolto funzionario del ministero del Turismo e delle Antichità di Bagdad: LE BANDE DELL’ISIS HANNO ASSALITO IL SITO DI NIMRUD CON COLONNE DI RUSPE per distruggere completamente il sito archeologico e per asportare reperti, certo da avviare, follemente, sull’insaziabile mercato internazionale di antichità, attivo nei cinque continenti.
Giustamente Bagdad ricorda che è questa un’inaudita e arrogante sfida all’opinione pubblica e al comune sentire di tutto il mondo civile. Quando, pochi giorni fa, furono massacrate dalle bande nere le opere artistiche assire e partiche conservate nel Museo di Mosul, fu annunciato che dopo non molto sarebbe toccato a Nimrud e a Hatra, sito archeologico registrato come patrimonio universale dell’Unesco.
LA CONDANNA
Mentre l’opinione pubblica mondiale accoglie incredula, sgomenta e attonita questi ininterrotti annunci dell’imperversare di una nuovissima barbarie, la segretaria generale dell’Unesco ha definito l’attacco a Nimrud crimine contro l’umanità e, finalmente, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, convocato d’urgenza dallo stesso Unesco, ha condannato risolutamente queste azioni inaudite contro il patrimonio culturale del popolo dell’Iraq e dell’intera umanità.
Mentre gli archeologi di tutto il mondo attendono con ansia di conoscere nei dettagli e di capire in profondità l’entità dei danni inferti a uno dei luoghi più ricchi di testimonianze dell’arte, della storia, della cultura del passato, si ha già piena consapevolezza che le distruzioni di opere e monumenti unici sono irrimediabili, che la ferita inferta al senso di identità storica dell’Iraq è fatale, che la ribellione di fronte a devastazioni intenzionali e spietate così deliranti non può che essere universale.
Si deve prendere coscienza del colossale paradosso che queste azioni esecrande procedono su un doppio binario, apparentemente inconciliabile: da un lato, in nome di un rigorismo religioso fanatico e inflessibile si distruggono opere, monumenti, siti archeologici di un passato odiato perché idolatra e, dall’altro, al tempo stesso ci si appropria di non poche di quelle opere e di quei monumenti per gettarli sul mercato antiquario in una logica di piena adesione alla mercificazione più odiosa della cultura. Ogni più vibrante indignazione del mondo civile di fronte a queste azioni di un’esecrabilità senza pari è inadeguata al degrado morale, civile, umano di cui sono testimonianza.
Ogni tolleranza di questo degrado che appare insuperabile, perché il passato di civiltà dell’umanità è il tesoro con cui ci si confronta nel presente e che è la base per costruire il futuro, non può avere alcuna giustificazione. Gli uomini di cultura di tutto il mondo, di fronte a tanta barbarie, non possono che prendere l’impegno di collaborare perché, in un futuro speriamo prossimo, le opere e i luoghi delle civiltà del passato, senza alcuna distinzione, siano, nei limiti del possibile, ripristinati e restituiti alla loro funzione di inalienabile testimonianza dello sviluppo della civiltà umana. (Paolo Matthiae) –*Paolo Matthiae è professore di archeologia e storia dell’arte, direttore della missione che negli anni ’60 e ’70 ha riportato alla luce la città di Ebla, in Siria –
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“DISTRUGGERE L’ARTE È UN CRIMINE DI GUERRA”
di Anais Ginori, da “la Repubblica” del 7/3/2015
– Shock nel mondo dopo l’abbattimento con le ruspe dell’antica città assira di Nimrud da parte dei miliziani dell’Is – L’allarme dell’Unesco: “Barbarie, tutti i leader politici e religiosi si devono mobilitare”. La condanna di Al Sistani –
PARIGI – «La distruzione del patrimonio culturale e artistico dell’Iraq è un crimine di guerra»: così, con estrema durezza, l’Unesco ha definito l’abbattimento con le ruspe delle vestigia dell’antica città assira di Nimrud da parte dei miliziani dello Stato Islamico, avvenuto appena una settimana dopo la diffusione del video in cui gli uomini del Califfato distruggono a picconate le statue del museo di Mosul.
L’Is considera ogni tipo di statue e raffigurazioni di divinità come “falsi idoli” e con questa giustificazione attacca ogni tipo di opera e sito culturale iracheno. Nimrud, fondata nel tredicesimo secolo avanti Cristo, si trova 30 chilometri a sud-est di Mosul. Secondo il governo iracheno, i camion potrebbero essere stati usati dai miliziani anche per portar via i reperti. Impossibile comunque almeno finora misurare l’entità del danno.
NIMRUD è il nome arabo dell’ antica città assira di KALHU, sul fiume TIGRI nel nord della Mesopotamia. La città, conosciuta come CALAH nella Bibbia, fu costruita dal re Shalmaneser durante l’impero assiro Medio. Lacittà ha guadagnato la fama quando il re Assurnasirpal II del neo impero assiro ne fece la sua capitale a scapito di ASHUR.
Molti artefatti erano stati già portati nei musei di Bagdad, ma altri rimanevano sul posto, e anche se alcuni erano solo repliche, altri erano di inestimabile valore. Secondo un esponente della comunità assiro-cristiana, Yonadam Kanna, la distruzione di Nimrud potrebbe anche essere il tentativo di coprire il fatto che i miliziani avevano già saccheggiato il sito e trafugato i reperti, vendendoli sul mercato nero.
La massima autorità sciita irachena,il grande ayatollah ALI AL-SISTANI, ha invitato il paese a fare uno sforzo unitario per combattere il Califfato: «Giorno dopo giorno emerge la necessità di unirsi e combattere la feroce organizzazione che non risparmia né gli uomini né i siti archeologici», ha detto durante il consueto sermone del venerdì, pronunciato da un suo collaboratore.
«Condanno con la massima forza la distruzione del sito di Nimrud», ha dichiarato Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco. «Non possiamo restare in silenzio—ha continuato— la deliberata distruzione di un patrimonio culturale costituisce un crimine di guerra, e lancio un appello a tutti i leader politici e religiosi della regione di schierarsi contro questa nuova barbarie».
Ora cresce l’allarme anche per il patrimonio storico e culturale di altre zone minacciate dall’Is, come i siti archeologici di CIRENE, LEPTIS MAGNA e SABRATHA in LIBIA. Il 26 febbraio le milizie dell’Is avevano diffuso un video nel quale mostravano il saccheggio nel museo di Mosul di una novantina di reperti, molti dei quali originali e di valore inestimabile. Un anno fa i jihadisti avevano attaccato la Biblioteca di Mosul che contiene migliaia di libri e manoscritti rari, molti dei quali sono stati bruciati.
L’estate scorsa, l’ls aveva distrutto con la dinamite il MAUSOLEO DI NABI YUNES: la tomba del profeta Giona è uno dei mausolei più celebri di Mosul e meta di pellegrinaggio. «Da tempo abbiamo cercato di allertare le autorità irachene sulla necessità di proteggere il patrimonio archeologico e culturale», racconta Stuart Gibson, esperto all’Unesco.
Al di là delle condanne ufficiali, il governo di Bagdad sembra impotente nella difesa dei tesori del paese. «Purtroppo ormai la popolazione è stremata. Non ci resta che guardare con disperazione quello che sta accadendo». (Anais Ginori)
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“E’ PULIZIA ETNICA PER CANCELLARE CULTURA E STORIA DELLE MINORANZE”
– L’intervista a Daniele Morandi Bonacossi, direttore degli scavi di Ninive: “I jihadisti hanno cancellato opere di grande valore e si finanziano vendendo all’Occidente i reperti” –
di Pietro Del Re, da “la Repubblica” del 7/3/2015
«SONO scempi tragici, quelli perpetrati dalle milizie dello Stato islamico, perché fanno parte di un’operazione di pulizia etnica nel nord dell’Iraq», spiega Daniele Morandi Bonacossi, professore di Archeologia del Vicino Oriente all’Università di Udine, sceso in prima linea per salvare dalla furia jihadista lo straordinario patrimonio artistico della piana di Ninive.
«Questi forsennati si accaniscono contro comunità non islamiche, come la caldea, la cristiana e la yazida, ma anche contro comunità islamiche come la turcomanna, per costringerle alla fuga prima di operare un sistematico annientamento della loro storia e della loro cultura», aggiunge l’archeologo che sovrintende scavi a poche decine di chilometri da Mosul, nel Kurdistan iracheno.
Da un punto di vista archeologico, quanto è grave la distruzione in corso?
«E’ come se dei pazzi entrassero con le ruspe nel Foro romano o al Palatino, e distruggessero i palazzi imperiali o la casa di Augusto. A Mosul sono stati devastati siti archeologici che hanno fatto la storia dell’archeologia della Mesopotamia. Le notizie sulle distruzioni operate con le ruspe a Nimrud sono scioccanti, ma finché gli islamisti non pubblicheranno un video non avremo riscontri».
E’ vero che alcune statue distrutte erano solo le copie di originali conservati al Museo di Bagdad, appena riaperto?
«Molti degli oggetti che originariamente si trovavano nel Museo di Mosul, devastato la settimana scorsa, come i rilievi di Ninive o le statue della città di epoca partica di Hatra, furono trasferiti al Museo di Bagdad nel 2003. Alcune statue distrutte erano dunque copie di gesso. Ma molte altre erano purtroppo statue originali».
Professore, condivide l’accusa di crimini di guerra, lanciata ieri contro i jihadisti dalla direttrice dell’Unesco, Irina Bokova?
«La distruzione di questo patrimonio culturale, che appartiene all’intera umanità, ricorda quanto accadde durante la guerra nella ex Jugoslavia con l’incendio della biblioteca di Sarajevo e la distruzione del ponte di Mostar. L’aspetto più inquietante di quanto sta succedendo in Iraq è che da qualche settimana le devastazioni si stanno intensificando».
Che cosa si può fare per proteggere questo patrimonio culturale?
«Al momento ben poco, ahimè. Tuttavia, gran parte dei reperti non distrutti viene contrabbandata in Occidente e contribuisce a finanziare le attività terroristiche dell’organizzazione jihadista. Se i reperti vengono trafugati dalla Siria e dall’Iraq, l’altro terminale di questa sciagura è l’Europa, ma anche gli Usa e il Giappone».
In che cosa consiste il vostro lavoro?
«L’obiettivo del progetto “TERRE DI NINIVE” è proteggere il patrimonio culturale dal vandalismo ma anche dalla follia dell’Is e per farlo bisogna innanzitutto sapere cosa c’è da proteggere. Questa regione dell’Iraq settentrionale è ancora poco esplorata e il primo problema è proprio catalogare il patrimonio culturale. Noi stiamo censendo il patrimonio di una regione a cavallo tra le province di Ninive e Dohuk. Sono appena rientrato in Italia, lasciando una squadra di archeologi in quella regione, dove negli ultimi decenni è stato molto difficile lavorare».
In poche parole, quanto è stata importante la civiltà mesopotamica?
«L’Occidente non sarebbe quello che è se non ci fosse stata la civiltà mesopotamica. Il suo apporto è stato enorme, dallo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento con i processi di domesticazione di piante e di animali, alla nascita degli Stati, delle città e delle prime società complesse e stratificate. L’impero assiro, le cui capitali sono state così orrendamente devastate in questi giorni, è stato il primo impero globale della storia dell’umanità». (Pietro Del Re)
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GUERRA SANTA PER CANCELLARE ARTE E STORIA
di Tommaso Rodano, da “Il Fatto Quotidiano” del 7/3/2015
– L’Isis devasta l’arte mentre riapre il museo a Baghdad – MATTHIAE E LO SCEMPIO DI NIMRUD: “ISIS, AFFERMAZIONE DI ONNIPOTENZA” –
La notizia dell’ennesimo scempio dell’Isis arriva da Facebook. La riferisce la pagina ufficiale del ministero iracheno del Turismo e delle Antichità: le ruspe dei miliziani dello Stato islamico hanno raso al suolo l’antico sito archeologico assiro di Nimrud, nei pressi di Mosul, città occupata dal regno autoproclamato di al Baghdadi. E’ l’ultimo di una serie di sfregi brutali dell’Is nei confronti del patrimonio artistico e culturale dell’Iraq.
Arriva pochi giorni dopo la distruzione delle statue e le sculture del museo di Ninive (molte delle quali, secondo le ricostruzioni di alcuni archeologi, erano solo delle copie in gesso), documentata in un video che ha fatto il giro del mondo.
“Stavolta parliamo di un luogo assolutamente eccezionale, un patrimonio dell’umanità. Uno dei siti archeologici più importanti non della Mesopotamia, ma del pianeta”. Le parole sono di Paolo Matthiae, professore di archeologia e storia dell’arte, direttore della missione che negli anni ’60 e ’70 ha riportato alla luce la città di Ebla, in Siria.
“Gli scavi di Nimrud – spiega Matthiae – sono durati da metà ‘800 fino agli anni ’90 del secolo scorso. Tra i reperti ci sono alcuni dei tesori custoditi al British Museum. Ci sono i rilievi storici del palazzo di Assurnasirpal II, il sovrano che rifondò Nimrud in maniera spettacolare nel IX secolo avanti Cristo. Un patrimonio archeologico, per capirci, addirittura superiore a quello di un sito come Ercolano”.
LA VIOLENZA contro l’arte e la storia spaventa non meno di quella verso gli esseri umani. “Questi atti mettono in luce una contraddizione profonda nell’Isis. NON C’È SOLO LA DISTRUZIONE, MA IL SACCHEGGIO: da un lato cancellano le testimonianze di un passato idolatra, secondo la fede fondamentalista. Dall’altro, invece si adeguano a ciò che di peggio c’è nel mondo contemporaneo: la mercificazione selvaggia”.
Un messaggio rivolto all’occidente o al pubblico “interno”?
“Queste distruzioni generano indignazione in tutto il mondo civile, non solo occidente o cristiano. Ma l’Isis, come è stato scritto, ha una strategia comunicativa tutt’altro che casuale. QUESTI ATTI SIGNIFICANO: ‘NOI SIAMO CAPACI DI TUTTO. E SIAMO DISPOSTI A TUTTO PER ABBATTERE IL VOSTRO SISTEMA DI VALORI’. È un’affermazione di onnipotenza”.
L’Unesco ha definito lo scempio di Nimrud un “atto di guerra”. Ma le armi contro le razzie dello Stato Islamico sembrano spuntate.
“Qualcosa da fare c’è – conclude Matthiae -. Io ho insistito su una presa di posizione dell’Onu, che dichiari questi atti un crimine contro l’umanità. Può avere un impatto sulla maggioranza tollerante del fronte islamico. In secondo luogo, anche se rischioso, è importante che le popolazioni locali difendano il proprio patrimonio, che ha un’importanza economica oltre che artistica. È successo, ad esempio, con il minareto pendente di Mosul, simbolo della città. L’Isis voleva distruggerlo, ma gli abitanti l’hanno salvato difendendolo in massa. Infine, il mondo occidentale – e gli archeologi di tutto il mondo – si devono preparare a intervenire per ripristinare, nei limiti del possibile, ogni opera d’arte danneggiata” (Tommaso Rodano)
DOP0 12 ANNI DI GUERRA – LA STESTIMONIANZA DEL SACCHEGGIO DEL MUSEO
II MUSEO DI BAGHDAD RIAPRE CONTRO I BARBARI
di LEONARDO COEN, da “il fatto Quotidiano” del 7/3/2015
Domenica 1° marzo il bellissimo Museo nazionale iracheno di Baghdad ha riaperto al pubblico, 12 anni dopo i saccheggi e le irruzioni di vandali e ladri d’antichità che avevano approfittato del caos post Saddam. Era fine aprile 2003. Gli americani si erano preoccupati di proteggere il ministero del petrolio, dimenticandosi quanto fosse più prezioso difendere i tesori del museo, uno dei più importanti del mondo, dove erano custoditi 170 mila reperti.
La razzia di allora divenne l’emblematica didascalia dello sfascio. Desolante simbolo della caduta di ogni valore: salvo quello legato all’arte rubata… Oggi, invece, spalancare le porte del Museo di Baghdad peraltro, in anticipo di due mesi – è diventata l’orgogliosa risposta alle furibonde devastazioni jihadiste dell’Isis: il 26 febbraio la distruzione del Museo della Civiltà di Mosul. Il 5 le vestigia di Nimrud. Secondo quanto tramanda la Genesi biblica, fu un nipote di Noè a fondarla, Nimrud, dandole il proprio nome.
Bagdad ha replicato alle devastazioni jihadiste con la cerimonia di riapertura in diretta tv: “II nostro messaggio è chiaro – ha proclamato il premier Haider al-Abadi – è il messaggio della terra di Mesopotamia, proteggeremo la civiltà e individueremo chi la vuole distruggere”.
I CONFINI dell’attuale Iraq corrispondono più o meno, se si aggiunge un lembo di territorio siriano, all’antica Mesopotamia: tra il Tigri e l’Eufrate tutto quello che è alla base della nostra civiltà trovò luce e consapevolezza: le prime leggi che codificavano i comportamenti sociali, l’astronomia, l’agricoltura, la matematica, l’arte.
IL MUSEO DI BAGHDAD CI DOCUMENTA QUEL TEMPO: i Sumeri inventarono la scrittura, 53 secoli fa. Con la scrittura nacque la Storia. Assurbanipal creò la prima biblioteca enciclopedica del mondo, 4 secoli prima di quella d’Alessandria. Voleva conservare per le generazioni del futuro la saggezza e le conoscenze del passato: le teche di oggi ci mostrano le tavolette d’argilla incise dalla scrittura cuneiforme che hanno nutrito i racconti biblici.
Sono ritornati nelle sale del museo imponenti tori alati dalla testa umana, geni protettori del popolo assiro, altorilievi di pietra che erano posti alle porte dei palazzi babilonesi e che pesano parecchie tonnellate: spiccano quelli maestosi che addobbavano a Ninive. E ancora: le statue dei sovrani Parti di Hatra, scolpiti all’inizio dell’era cristiana, carichi di suggestione cavalleresca. O le meraviglie dell’arte islamica, che ci riportano alle Mille e una notte.
A tutto quello che la furia iconoclasta dell’Isis non tollera, e condanna, in base a un’interpretazione estremista della legge coranica. GLI OGGETTI DI QUESTO MUSEO SONO INESTIMABILI. A tal punto che il famoso tesoro di Nimrud in oro massiccio – c’è chi lo paragona a quello di Tutankamen – è al sicuro, nel caveau della Banca d’Iraq, come la testa in cuoio del re Sargon (circa 2340 a. C).
Dodici anni fa con il collega Guy Chiappavento, riuscimmo a entrare nel Museo appena razziato. Mancavano migliaia di pezzi: 4.300 sono stati recuperati e intercettati alle aste, o nei negozi d’antiquariato di tutto il mondo, in particolare negli Usa (soldati poco scrupolosi avevano tentato di portarseli a casa).
Il celebre vaso rituale sumero d’Uruk, alto un metro, in alabastro, l’hanno ritrovato sbriciolato nel portabagagli di una vettura. È stato restaurato ed è esposto di nuovo: rappresenta il culto della dea Innin. All’appello mancano ancora 10rnila reperti.
Che insieme alla marmaglia devastatrice ci fossero dei ladri professionisti me lo confermò Jabir Khalid Ibrahim, allampanato presidente dell’ufficio nazionale delle antichità irachene: “Hanno selezionato soprattutto pezzi smerciabili e di grande importanza”. Pigliarono il volo pure gli archivi digitali del museo: “Ci hanno portato via la memoria della memoria”.
Ricordo che fotografai i frammenti di una statua romana del II secolo: un piede con sandalo, parti di gambale. Vicino, una macchia scura. Sangue. Uno dei ladri si era probabilmente ferito, nel trafugare la statua, buttata giù dal piedistallo che giaceva rovesciato sul pavimento, sotto le teche svuotate. (LEONARDO COEN)
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TEAM DI ESPERTI E LAVORO FORZATO: COSÌ L’ISIS RUBA I TESORI DELLA STORIA
di Fabio Sindici, da “la Stampa” del 2/12/2014
– Scavi selvaggi tra Siria e Iraq per finanziare la guerra del Califfo. Il bottino archeologico ai collezionisti di Londra e Hong Kong –
A KERKEMISH, pochi metri dal confine con la Siria, gli archeologi scavano con il rombo degli aerei da guerra nelle orecchie. È ancora Turchia; ma dall’altra parte della frontiera sventola la bandiera nera dell’Isis che controlla questa parte del territorio siriano. E che del traffico clandestino di antichità ha fatto una delle maggiori fonti di finanziamento.
La zona degli scavi è protetta da un reparto di 500 soldati turchi, dotati di carri armati e postazioni di artiglieria. «Si sentivano le esplosioni delle bombe; ora la linea del fuoco si è spostata ad Est. Ma anche quando la zona dei combattimenti era vicina non ci siamo mai sentiti in pericolo», racconta Nicolò Marchetti, professore di archeologia dell’università di Bologna, che dirige la missione. Nel corso degli scavi sono venuti alla luce reperti splendidi: statue romane, lastroni di pietra scolpiti di epoca ittita, un pavimento a mosaico dal palazzo del re assiro Sargon II.
IL SACCHEGGIO IN SIRIA
Un terzo dell’area archeologica è oltre il confine, intorno a JARABULUS, città siriana tenuta dai miliziani dello Stato islamico. «Per ora non siamo a conoscenza di scavi illegali considerevoli da quella parte», dice Marchetti. «Vicino Jarabulus si trovano reperti che hanno poco valore sul mercato collezionistico internazionale. O grandi steli assire difficili da trasportare. IL SACCHEGGIO AVVIENE IN ALTRI SITI IMPORTANTI DEL TERRITORIO DEL CALIFFATO, NELLA CITTÀ GRECA DI APAMEA, che le foto dei satelliti mostrano crivellata di buchi. A MARI, uno dei centri più ricchi della civiltà mesopotamica, dove sono stati scavati solo i livelli meno antichi».
VERSO OCCIDENTE ED EMIRATI
Secondo Marchetti, l’Isis ha a disposizione team di tecnici e manovalanza competente. Persone che sanno dove scavare. In grado di fare una prima valutazione del bottino archeologico. E network di riferimento per far uscire statue di divinità, fregi e corredi preziosi dalla zona di guerra.
Verso i ricchi mercati dell’Occidente, degli Emirati del Golfo, dell’Estremo Oriente. Una filiera complessa e ramificata, piste che si intrecciano con quelle della millenaria VIA DELLA SETA per svanire in collezioni private e nei conti di banche off-shore.
«La stima annuale di 2 miliardi e 200 mila dollari dell’Unesco sui proventi del traffico illecito di beni culturali nel mondo va rivista verso l’alto dopo il sacco dell’Iraq e l’ascesa del Califfato», ragiona Francesco Bandarin, fino a poco tempo fa vicedirettore dell’Unesco e ora consulente esterno dell’Organizzazione Onu per la cultura. «Credo che siamo intorno ai sei-sette miliardi di dollari l’anno, come riportano alcuni centri studi americani. Ma si tratta solo di ipotesi. La quasi totalità delle transazioni resta sommersa». L’Antiquities Coalition, un’associazione di archeologi e studiosi di storia antica, valuta dai 3 ai 5 milioni di dollari il traffico dal solo Egitto negli ultimi tre anni.
OPERAI ALL’OMBRA DEI MITRA
Di certo, si sono spostate le rotte. I principali fornitori di tesori archeologici illegali non sono più l’Italia e la Grecia, il Sud-Est asiatico, o lo stesso Egitto. Il grande sacco avviene nel Medio Oriente e nell’Asia centrale. In Iraq, le aree soggette agli scavi selvaggi nei dieci anni passati superano di gran lunga le esplorazioni archeologiche ufficiali dell’ultimo secolo e mezzo. Gli operai locali spesso lavorano all’ombra dei mitra di ronde paramilitari. Si parla di lavoro forzato della minoranza Yazida nell’area archeologica di Ninive, una delle capitali dell’impero assiro, occupata dalle milizie del Califfo al Baghdadi.
LA TASSA SUI REPERTI
A Kalhu il palazzo reale è stato passato al setaccio: i reperti più pregiati venduti direttamente a collezionisti, il resto disperso sul mercato nero del piccolo contrabbando. La regola generale nello stato islamico resta però quella dell’al-Khums, la tassa di un quinto sul valore degli oggetti scavati. Il che fa presupporre una supervisione minuziosa ed efficiente sugli scavi, una valutazione economica sui ritrovamenti, o un primo mercato all’interno del territorio.
LE TAPPE DELLA FILIERA
Ma quali sono le tappe successive della filiera? Una parte passerebbe attraverso il poroso confine turco. «L’unico sequestro a cui ho assistito a Kerkemish riguarda tre busti provenienti da Palmira, che è controllata dai governativi», dice Marchetti. Secondo un altro archeologo, Amr al Azm, della Syrian Heritage Task Force, il grande flusso transiterebbe tra Tel Abiab e Urfa. Ancora più trafficata la frontiera con il Libano: files di computer sequestrati all’Isis indicano antichità per 36 milioni di dollari passate per la cittadina di Al Nabk. Un’altra direttrice attraversa le vecchie vie dell’incenso per arrivare agli Stati del Golfo, dove si aggiungono ai tesori archeologici provenienti dall’Afghanistan via Karachi. Altri mercati di smistamento si trovano nell’Est europeo, in Bulgaria e in Romania, dove venivano gestiti dai servizi segreti, a cui si sono sostituite mafie locali. I reperti più preziosi vengono «lavati», dotati di nuove identità ed acquistati da mercanti e collezionisti di Londra, Hong Kong, New York.
IL RESTO DEL BOTTINO SUL WEB
Il bottino meno pregiato viene venduto su siti temporanei nella cosiddetta «deep Internet», non rintracciabili tramite motori di ricerca. Così il passato remoto del globo, insieme a un’enorme quantità di denaro sporco, rischia di rimanere oscuro per lungo tempo. (Fabio Sindici)
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ICONOCLASTIA
IL FANATISMO POLITICO CHE SI NASCONDE DIETRO LA FURIA TEOLOGICA
di Silvia Ronchey, da “la Repubblica” del 28/2/2015
– I martelli dell’Is che si abbattono sulle statue di Mosul hanno radici in secoli lontani. Più profonde nel cristianesimo che nell’Islam –
È DIFFICILE ammetterlo, mentre i martelli dell’Is si abbattono sulle statue del museo di Mosul, ma la più massiccia e vandalica distruzione di statue nella storia dei conflitti religiosi della civiltà mediterranea non si deve all’islam, né agli arabi né ai turchi né ai puristi wahabiti, e neppure ai riformatori protestanti dell’Europa cinque e seicentesca.
I RESPONSABILI FURONO I CONDOTTIERI CATTOLICI DELLA QUARTA CROCIATA, che nel 1204 conquistò Costantinopoli. Un elenco delle statue distrutte durante ma soprattutto dopo il saccheggio fu stilato da Niceta Coniata, uno dei tanti intellettuali bizantini che assistettero agli eventi per poi fuggire dalla barbarie dei latini mettendo in salvo il loro carico di cultura.
Nella descrizione che Niceta fa della caduta della polis spicca la descrizione struggente delle antichissime statue bronzee del Foro di Costantino e dell’Ippodromo, sistematicamente distrutte dai crociati, fatte a pezzi e fuse.
Che cosa c’entrano i crociati con l’iconoclastia, ossia con la distruzione (dal greco klao, rompere) delle immagini (in greco eikones)? Nulla. Anzi, fu proprio il papato di Roma il primo e maggiore nemico di quella posizione dottrinale che tra l’VIII e il IX secolo fu adottata dagli imperatori dello stato bizantino, il più grande e civile del medioevo mediterraneo ma soprattutto il grande rivale del papato.
L’iconoclasmo bizantino, nella sua condanna teologica delle immagini, si rifaceva a una doppia tradizione. Da un lato al cosiddetto aniconismo giudaico, trasmesso dall’ebraismo al giovane Islam, ma anche, ben prima, al giovane cristianesimo. Il suo fondamento stava nella proibizione biblica di riprodurre l’immagine divina, e difatti nell’iconoclasmo bizantino tornarono in voga gli scritti degli apologeti dei primi secoli cristiani, che si scagliavano contro l’idolatria e addirittura proibivano ai fedeli di svolgere la professione di pittore o scultore.
D’altro lato, sul piano filosofico, l’iconoclasmo era un’espressione estrema della filosofia platonica e della sua condanna dell’immagine in quanto “copia di una copia”, essendo il mondo sensibile solo una copia di quello delle idee. Peraltro i promotori dell’iconoclasmo, gli imperatori isaurici, non promossero la distruzione di icone, ed è stato recentemente messo in dubbio perfino che Leone III Isaurico abbia distrutto l’immagine del volto di Cristo sulla Chalké, sostituendola con una croce, come la propaganda degli iconoduli, i sostenitori delle immagini, ha tramandato. In ogni caso, la controversia restava interna alle dispute dottrinali del cristianesimo.
Gli iconoduli condannano l’iconoclastia come eresia cristologica, considerando la rappresentazione di Cristo lecita in quanto proclamazione del dogma dell’incarnazione. La sottile disputa sfocerà in un nuovo statuto dell’immagine che si affermerà parallelamente al diffondersi dell’aristotelismo nella cultura bizantina: l’icona è ammissibile e non assimilabile all’idolatria solo se non intende rappresentare naturalisticamente la figura sacra, ma promuovere la riflessione teologica sulla sua essenza sovrasostanziale.
Secondo la definizione conciliare: «Chi venera l’icona vi venera l’ipòstasi di colui che vi è inscritto », dove si usa il verbo “inscrivere” per distinguere questo tipo di rappresentazione da quella propriamente figurativa. Avallare la rivendicazione ideologica dell’Is, che riconduce i vandalismi di Mosul alla tradizione dell’iconoclastia islamica, è tanto storicamente rischioso quanto parlare di medioevo in riferimento alla barbarie integralista delle frange estreme dell’Islam contemporaneo. Il medioevo è stato lungo, multiforme e complesso.
La tolleranza araba verso chi rimaneva fedele al proprio culto era proverbiale. Quando nella primavera del 638 il califfo Umar ibn al-Khattab, successore del Profeta, conquistatore di Gerusalemme, era entrato nella città santa, aveva mostrato il massimo rispetto per i monumenti delle due religioni conquistate. Aveva visitato la basilica bizantina dell’Anastasis. Si era fatto accompagnare al tempio dei giudei e nel vederlo ridotto a un deposito di rifiuti si era addolorato e aveva preso a ripulirlo. Quando nella primavera del 1453 Mehmet II Fatîh, conquistatore di Costantinopoli, entrò nella Città delle Città, fece risparmiare i palazzi e le chiese e la Polis, una volta sottomessa all’islam, rimase la città conquistata con più altari consacrati alla religione dei vinti.
La distruzione delle statue di Mosul da parte dell’Is, così come quella dei Buddha di Bamiyan nel 2001 da parte dei talebani, non rientra nell’ambito della teologia né in quello dell’iconoclastia religiosa, ma nella storia, purtroppo densissima, della cosiddetta iconoclastia politica, termine oggi in uso per indicare un fanatismo di stampo religioso divenuto strumento di lotta politica eversiva. Ben prima dell’inizio dell’iconoclasmo la chiesa cristiana ne aveva dato prova, ad Alessandria d’Egitto, nel 392, quando le milizie integraliste, guidate dal patriarca Teofilo, avevano distrutto il simbolo della tradizione religiosa pagana, il Serapeo. Come scrisse allora Eunapio: «Stringendo d’assedio i luoghi sacri, accanendosi rabbiosamente sulle sante pietre e sui simulacri di marmo, fecero guerra alle statue, sgominandole come avversari che non potevano opporre resistenza».
Il patriarca cristiano fece anche decapitare con una scure la monumentale statua di Serapide, opera di Briasside. Come ha scritto Edward Gibbon nella sua Decadenza e caduta dell’impero romano : «Si tratta di eccessi che sarebbe ingiusto imputare alla religione di per sé; ma è bene lavare dall’accusa di ignoranza i poveri arabi, le cui traduzioni ci hanno conservato le meraviglie della filosofia, della medicina e delle scienze greche, e le cui opere fendevano coi loro raggi splendenti le brume ostinate dell’età feudale». (Silvia Ronchey)
MAPPA CIVILTA’ ASSIRA |
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CHI DEVASTA UN’IDOLATRIA NE PRODUCE UN’ALTRA
di Salvatore Settis, da “la Repubblica” del 28/2/2015
– L’aggressione a un museo pretende di annullare la storia: si distrugge un’opera d’arte perché se ne riconosce la forza –
È L’ANNO 2061, sulla piazza c’è una lunga coda. Avanza, disciplinata. A due, a tre per volta si fermano davanti alla Gioconda appoggiata al muro, sputano sul quadro e se ne vanno. «Perché lo facciamo?», chiede Tom, un ragazzo. Gli risponde Grigsby: «Ha a che fare con l’odio. Odio per qualsiasi cosa che appartenga al passato. Come siamo arrivati a queste città in rovina, strade a pezzi per le bombe, campi di grano radioattivi, le case distrutte, gli uomini nelle caverne? Dobbiamo odiare il mondo che ci ha portato fin qui. Non ci resta più nulla, se non fare festa distruggendo».
Così un racconto ambientato in un’America post-apocalittica, scritto nel 1952 da Ray Bradbury, lo stesso che poco dopo avrebbe pubblicato Fahrenheit 451, dove leggere un libro è reato. Ma la storia non conferma queste fantasie. L’iconoclastia bizantina del sec. VIII-IX, quella protestante del Cinquecento, l’abbattimento delle statue di Mussolini, di Stalin, di Saddam Hussein non sono mai la negazione in toto del passato, ma la scelta rituale di distruggere qualcosa per esaltare qualcos’altro (la purezza della fede, il trionfo della democrazia…).
L’aggressione al museo di Mosul e ai reperti delle civiltà millenarie del Vicino Oriente antico si presenta come un gesto infinitamente più radicale, che pretende di annullare la storia in nome di un Islam originario e senza immagini, di un Corano che ri-crea la storia, e prima del quale non c’è nulla. Ma il Corano conosce Abramo (Ibrahim) e lo considera un profeta; Maometto è sì un nuovo inizio, ma in una linea che assimila e onora i profeti del passato (inclusi San Giovanni Battista e Gesù). La lotta contro l’idolatria, che affratella le religioni del Libro (ebraismo, Islam, cristianesimo) ha avuto accessi di febbre iconofobica, ma non è stata mai, in nessuna di esse, dottrina universale.
Annientare la memoria di Ninive non può esser spacciato come un gesto polemico contro l’odiato Occidente, a cui pure si devono scavi, decifrazioni, scoperte. Dalla Mesopotamia non vengono solo dati di civiltà che hanno poi trovato posto nelle culture mediterranee e in Europa. Vengono, per l’Europa e per il mondo (compreso l’Islam), pensieri, riflessioni, osservazioni che hanno fondato la carta del cielo, i nomi e la forma di costellazioni e segni dello zodiaco; vengono nozioni mediche e scientifiche, invenzioni mitiche e letterarie, l’agricoltura e la città. Vengono esperienze storiche che hanno creato linguaggi e formule della regalità, ma anche impulsi alla convivenza fra popoli e civiltà diverse.
È questo il caso del mirabile cilindro cuneiforme di Ciro il Grande (539-38 a. C.), dove il re persiano proclama la propria gloria in nome della tolleranza. «Io sono Ciro, re dell’universo, re di Babilonia: il mio enorme esercito l’ha conquistata, ma il suo popolo non deve temere, lenirò la sua sofferenza. Salverò le loro vite e i loro templi, le statue dei loro dèi saranno intatte, e quelle che sono state allontanate verranno restituite ai templi che loro spettano, ricostruirò le mura e le porte».
In Mesopotamia come in Europa, nessun territorio è mai stato di un solo popolo né di una sola religione: la sovrapposizione, la mescolanza, il contrasto nella convivenza hanno costantemente arricchito le nostre città, le nostre letterature, il nostro patrimonio di immagini e di parole, la nostra anima.
Programmaticamente barbarica, la furia iconoclasta che si è scatenata a Mosul è però anche profondamente contraddittoria. Distrugge immagini di antiche divinità e sovrani, ma lo fa sotto gli occhi delle telecamere. Devasta spietatamente, ma su un palcoscenico, e per produrre nuove immagini, i filmati diffusi all’istante allo scopo di mostrare i muscoli e ricattare il mondo. Accusa di idolatria un museo archeologico, ma dissemina dappertutto l’auto-idolatria di chi si fa filmare mentre devasta; e si fa filmare per essere visto, perché la propria immagine che distrugge altre immagini diventi una nuova icona.
Alla pretesa idolatria degli antichi l’Is sostituisce un’idolatria più vera e più palpabile, l’iconizzazione di sé; e mentre maledice le immagini altrui, produce, alimenta e promuove le proprie. Distrugge le immagini perché ne riconosce la forza, e dunque la imita. È la nemesi della storia: come quando, subito dopo l’11 settembre 2001, il mullah Muhammad Omar, capo dei taliban afghani, paragonò l’America a Polifemo, «un gigante accecato da un nemico a cui non sa dare un nome», da un Nessuno. L’arcinemico della cultura occidentale, l’iconofobo distruttore dei Buddha di Bamiyan, paragonava se stesso a Ulisse che acceca Polifemo. Stava, dunque, citando Omero. (Salvatore Settis)
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L’IDOLATRIA E IL DIVIETO CHE VIENE DAL CORANO: MA QUESTI JIHADISTI MIRANO ALLE NOSTRE TV
di Roberto Tottoli, da “il Corriere della Sera” del 27/2/2015
Le immagini delle statue distrutte a Mosul ricordano la furia contro i Buddha di Bamiyan. In quel caso, più di dieci anni fa, furono i talebani in Afghanistan a decapitare statue. Oggi i militanti del califfato ne imitano le gesta e prendono a picconate reperti e oggetti millenari. La proibizione è la stessa delle immagini e ancora più forte: la paura è che riproduzioni tridimensionali di esseri viventi e soprattutto uomini possano indurre all’idolatria.
E l’idolatria fu il grande avversario del monoteismo coranico predicato da Maometto. Il Corano, come la tradizione ebraica, descrive il patriarca Abramo distruggere idoli. Quando riconquistò la Mecca, Maometto fece immediatamente abbattere idoli e mai concesse alle tribù che a lui si sottomisero di conservare statue e oggetti che li riproducevano. La tradizione più tarda ha rafforzato e specificato i termini della proibizione. Con le consuete differenti interpretazioni.
Per alcuni giuristi o esperti di tradizione islamica statue senza testa sono ammissibili, così come giochi e oggetti per bimbi che riproducono il corpo umano. Oggetti d’arte o antichi reperti raccolgono pareri diversi, ma nei secoli passati, che ce li hanno tramandati fino a oggi, vi è stata tolleranza. Il fermo divieto religioso ha piuttosto riguardato la realizzazione di nuove statue e busti, anche di personaggi eminenti, che l’Islam tradizionale ha sempre visto con sospetto, ancor più di immagini e illustrazioni nei libri.
La proibizione di riprodurre esseri animati ha dato così vita a una delle peculiarità più importanti dell’arte islamica: l’aniconismo e la stilizzazione che trovano la massima espressione nei virtuosismi calligrafici. Se l’Islam medievale ha conservato punti di vista diversi e tolleranza verso reperti antichi, forme di tradizionalismo più radicale hanno invece condannato senza mezzi termini statue e riproduzioni.
Il wahhabismo nacque nella penisola araba proprio lanciando violente campagne e promuovendo distruzioni di pietre o altri manufatti in odore di essere utilizzati simbolicamente da uomini. La repulsione per idolatria e costruzioni monumentali li ha spinti ad abbattere anche quel che vi era sulla tomba di Maometto a Medina. Il salafismo contemporaneo ne segue le orme e abbraccia le interpretazioni più restrittive, guardando con sospetto a ogni riproduzione tridimensionale del corpo umano.
Ogni statua non può che essere abbattuta e rigettata perché anti-islamica. Gli efferati atti dell’Isis cercano spasmodicamente l’effetto mediatico. Le martellate alle statue di Mosul vogliono scioccare come le esecuzioni e colpire l’immaginario occidentale. Usano però argomenti tradizionali sensibili e sfidano concezioni musulmane diffuse e centrali nella storia islamica. Come i talebani a Bamiyan, l’Isis lancia la sfida al mondo e vuole dire agli altri musulmani che il suo credo è netto e non conosce mediazioni. (Roberto Tottoli)