Riporto con enttusiasmo questa bella nota dello scrittore napoletano Maurizio de Giovanni, che fa da introduzione ad uno dei romanzi del Commissario Montalbano (Il cane di terracotta), in cui spiega l'amore per i romanzi del commissario e la loro importanza nel 'dare la rotta' al giallo italiano.
La copertina de Il cane di terraccotta in edizione speciale |
Noi che amiamo il profumo della carta nuova che aspiriamo a occhi chiusi per qualche secondo, prima di percorrere avidi con lo sguardo i mille colori delle copertine alla ricerca di una nuova fascinazione. Noi che ci riconosciamo in treno, sbirciando titoli ed espressioni per intuire storie e personaggi, annotando mentalmente il prossimo acquisto; noi che non vediamo l’ora di condividere il piacere solitario, chiacchierando di amori e passioni come se fossero veri, proprio perché sono veri più di quelli veri. Noi lo sappiamo bene, che un libro altro non è che un biglietto per un viaggio.
Sappiamo che il libro bello è quello che ti porta fin dalla prima pagina in un altro luogo e in un altro tempo, che ti rapisce e ti esclude dal tuo mondo e te ne regala un altro, che ti travolge con una storia di cui tu, lettore, sei protagonista, non testimone. Perché il testimone vede succedere le cose, non prova direttamente tutte le emozioni dei personaggi, non sente il cuore cambiare ritmo e sobbalzare ancora prima dell’evento che leggerà accadere.
È una cosa diversa. Noi non siamo il popolo dell’immagine; non siamo quelli che hanno bisogno di qualcuno che pensi le scene per noi, che premastichi e predigerisca le storie e ci fornisca colori e facce precostituiti. Noi non siamo i drogati dello streaming, quelli che non ce la fanno ad aspettare che la nuova puntata della nuova serie venga tradotta e inserita in palinsesto. A noi le storie piace immaginarle, costruirle, inventarle. Noi lavoriamo insieme all’autore, lui racconta e noi vediamo.
Il libro che avete tra le mani contiene appunto un viaggio. Perché l’uomo che ha inventato questa storia funziona così: vi trascina via già dalla prima parola.
Se i romanzi belli sono quelli che vi inghiottono come le sabbie mobili, quelli che vi fanno leggere un’ora e poi guardare sorpresi l’orologio perché vi sembrano passati solo cinque minuti, ebbene il signore che ha scritto questa storia sa come fare i romanzi belli. L’ha saputo dall’inizio, e anzi le prime storie (questa che avete in mano è del 1996) hanno la forza della conoscenza in corso del personaggio, qualcosa di cauto e di ansioso che conferisce ulteriore verità, perché il lettore e chi racconta condividono ansia e curiosità e questa condivisione è una gran bella forza motrice.
I primi quattro titoli dell'edizione speciale |
Se i romanzi belli sono quelli che da un lato vi fanno correre per vedere presto come andrà a finire la storia e dall’altro vi fanno guardare alle pagine che rimangono come un tesoro da centellinare piano, allora il signore che ha scritto questa storia ha il dono di amministrare la vostra frenesia, costringendovi di fatto alla seconda e alla terza lettura per ritrovare, ancora e ancora, la stessa identica atmosfera.
Se i romanzi belli sono quelli che funzionano come un orologio, con un meccanismo perfetto che non lascia dubbi o buchi alla logica del più esperto lettore, ma nel contempo trasudano l’imperfezione e la follia che animano il complesso mondo delle relazioni sentimentali, ebbene il signore che ha scritto questa storia ha l’istintiva misura delle dosi per avvinghiare chi lo ascolta in un abbraccio che non si può sciogliere fino all’ultima parola e all’ultimo doloroso e sorridente sospiro.
Perché, sapete, il signore che ha scritto questa storia ha saputo iniziare una nuova stagione del romanzo nero italiano, e ancora ne traccia la rotta con la forza luminosa di un faro nella nebbia. Non che prima di lui non ci siano stati grandi autori, Gadda e Veraldi, Eco e Fruttero e Lucentini hanno avuto voci enormi e importantissime; ma lui, lui ha reinventato tutto.
Il signore che ha scritto questa storia che avete tra le mani ha parlato con la sua lingua come se stesse davanti a un fuoco d’inverno o d’estate su una terrazza all’ombra, un bicchiere di vino in mano e un piatto davanti, il mare fermo ad ascoltare a pochi metri; con una voce rasposa e senza tempo, un gesto della mano a sottolineare i passaggi, il volto atteggiato a simulare le espressioni. Il signore che ha scritto questa storia parla alle ossa e allo stomaco di chi ascolta, non propone vacui esercizi intellettuali né ritiene di poter spiegare il fine ultimo dell’universo. Racconta storie, e chi sta ad ascoltarlo sa che una storia è una storia, e non la dimostrazione di una tesi; quindi può finire in qualsiasi maniera, ed è questa l’origine della tesa attenzione con cui si leggono i romanzi di questo signore, e quello che avete tra le mani soprattutto, perché tra queste storie è sicuramente una delle più belle.
In questa storia seguirete il protagonista ruvido e sensibile, intelligente e spontaneo lungo le vie intense e semplicissime della sua città. Comincerete a camminare al suo fianco in una mattina smèusa, divisa a metà tra sole e pioggia, il modo migliore per definire l’incertezza di quello che poi succederà.
Dovrete ancora immaginarlo, il protagonista, come l’ha pensato il signore che vi racconta la storia, capelli folti, baffi, vicino ai cinquant’anni e vagamente somigliante al Pietro Germi de Il ferroviere, lontano quindi dal favoloso attore che lo ha interpretato nella scatola magica. Lo immaginerete camminare per strade e sentimenti, al cospetto di criminali migliori dei burocrati e di feroci assassini col sorriso sulle labbra. Lo ascolterete nelle sue difficili conversazioni telefoniche notturne, tese a mantenere in piedi il suo amore imbalsamato dalla distanza. E lo vedrete mangiare con gusto, assorbendo attraverso la bocca e lo stomaco la terra selvatica e stupenda che ama respirare e calpestare.
Attorno a lui va nascendo quel mondo che la nostra società segreta imparerà ad amare forsennatamente, riconoscendo con tenerezza facce e voci e luoghi come quando si torna in vacanza nello stesso posto dopo un anno di lavoro e di tristezza; troverete un Augello insolitamente nervoso e spaventato e il riservato Fazio, il litigioso dottor Pasquano e l’irresistibile Catarella, e capirete rileggendo quanto corpo e quanto sangue vanno assumendo nel cuore del proprio creatore. E Vigàta, aria terra e mare, Vigàta sapore odore e calore, Vigàta di strade e di campagna, di spiaggia e di silenzio.
Proprio nella storia che avete tra le mani, la terra si fa fisicamente protagonista. In essa si apre una caverna che è un passaggio nel ventre, un ingresso nella passione. Una caverna che è un deposito di armi, un arsenale dell’esercito irregolare che comanda il respiro degli abitanti di un’isola meravigliosa e disgraziata, ma che è anche stanza da letto per innamorati poveri e felici. E che è tomba di un antico amore, che ancora respira e ancora racconta la propria storia disperata a cinquant’anni di distanza. La grandezza del signore che racconta questa storia, sapete, è proprio qui: nella semplicità innocente con cui unisce passato e presente, in una immobile freschezza che è il senso dell’amore. Perché le storie nere, quelle davvero nere, sono fatte soprattutto d’amore. L’amore che devia dal suo corso, impattando in ostacoli come la gelosia, l’ossessione, l’invidia, e prende una strada diversa che spesso sfocia nel sangue.
La telefonata del vecchio compagno di scuola Gegè, l’inquietante incontro col Greco, terribile capomafia e fiero avversario, costituiscono in realtà soltanto la premessa necessaria, la porta d’ingresso attraverso la quale il commissario protagonista, che ha ancora nelle orecchie la recente lettura del suo quasi omonimo autore barcellonese, dovrà imbarcarsi per un viaggio nel tempo. E viaggerà, eccome se viaggerà, alzando veli impolverati che coprono passioni addormentate e feroci.
Un’indagine nel passato può svolgersi solo attraverso il ricordo. Il commissario lo sa e quindi andrà a cercare la memoria dei vecchi, e si metterà a guardare la sospensione tra un passato di sangue e amore e un presente di amore e sangue. Anche il suo stesso sangue, e quello di chi gli è caro. La storia che avete tra le mani, sappiatelo, non assomiglia a nessun’altra, come le grandi storie debbono fare. Se guarderete bene, troverete colti riferimenti a grandi autori e anche a culture lontane ma vicinissime alla terra da cui nasce, a filosofie antiche e a simbologie mai dimenticate; ma è una ricerca che potrete fare non prima della terza lettura, perché la prima vi trasporterà frenetici alla scoperta dei misteri e la seconda vi avvolgerà nelle morbide spire di un’ambientazione tuttora insuperata nella narrativa italiana.
Il signore che racconta questa storia e il suo protagonista, insomma, danno il meglio nelle pagine che leggerete. Certo, nei tanti romanzi successivi quel mondo lo conoscerete a fondo, in lungo e in largo; ma così nel profondo, accompagnati dall’odore di buio e di terra, non scenderete mai più. Mettetevi comodi e state ad ascoltare il signore che racconta: scoprirete quanto viva può essere la morte, a distanza di più di mezzo secolo, se non riesce a interrompere l’amore; e quanto può essere partecipe e addolorato lo sguardo consapevole di un cane di terracotta.
Andrea Camilleri e Luca Zingaretti |
Camilleri e i vent'anni di Montalbano. Parla l'editore Antonio Sellerio
Nel 1994 usciva il primo romanzo del commissario. Ora le sue storie tornano in edizione speciale. Per celebrare un fenomeno editoriale che ha catturato il nostro immaginario. E ha cambiato il giallo italiano.
Salone del libro di Torino, Antonio Sellerio sta in piedi dietro una pila di libri insolitamente colorati, che fa contrasto con la marea di copertine blu che li circonda. I titoli sono quelli dei primi libri di Andrea Camilleri in cui compare il commissario Salvo Montalbano: La forma dell'acqua, Il cane di terracotta, Il ladro di merendine, La voce del violino, riediti in un'edizione speciale per festeggiare i vent'anni dall'uscita del primo titolo, La forma dell'acqua appunto, che uscì nella primavera del 1994.
In questo ventennio, Montabano è diventato un fenomeno editoriale globale, il personaggio di due serie tv ben fatte ed estremamente popolari (quella con Luca Zingaretti e, più di recente, Il giovane Montabano con Michele Riondino) e una sorta di compagno di viaggio per chiunque legge gialli: una volta l'anno, puntuale come il film di Woody Allen, la nuova avventura del commissario arriva in libreria. E pazienza se sappiamo che morirà, perché tutti prima o poi devono morire anche nei romanzi: ci basta sapere che per ora la morte di Montalbano, già scritta da Camilleri, sta chiusa in cassaforte, a Palermo, e la sua fine non è prossima.
I numeri delle vendite sono impressionanti e quasi Antonio Sellerio, figlio di Elvira ed Enzo ed erede, insieme alla sorella Olivia, di qualcosa che non è una semplice casa editrice, ma una ben protetta roccaforte di cultura, non vorrebbe tirarli fuori di nuovo: 21 romanzi vuol dire finora 15 milioni di copie vendute in Italia e traduzioni in tutto il mondo (“Oltre che da noi, ci sono paesi dove va molto bene, come la Germania e gli Stati Uniti”). Per non parlare della televisione: dal 1999 il commissario è anche un personaggio tv con il volto ormai familiare di Luca Zingaretti, e persino il prequel – che è sempre rischioso – interpretato da Riondino è andato benissimo. I numeri, diffusi dalla Palomar di Carlo Degli Esposti che produce entrambe le serie sono impressionanti: il calcolo è che in questi anni, in tutto il mondo, Montalbano in tv sia stato visto da oltre 800 milioni di spettatori.
Spiegare perché Salvo Montalbano, e non qualche altro dei tanti commissari che affollano gli scaffali delle librerie, sia entrato nell'immaginario popolare, è cercare di dipanare la nebbia che avvolge la fortuna letteraria di un personaggio, in qualche modo sempre imponderabile. Il suo stesso editore una vera risposta non ce l'ha, piuttosto delle notazioni a margine.
“Quando Camilleri propose a mia madre Elvira La forma dell'acqua e poi Il cane di terracotta non voleva scrivere altro. Fu lei a chiamarlo, perché i libri andavo bene, e gli chiese: 'Quando mi dai il terzo?'” e così nacque davvero Montalbano come personaggio seriale".
“Quando Camilleri propose a mia madre Elvira La forma dell'acqua e poi Il cane di terracotta non voleva scrivere altro. Fu lei a chiamarlo, perché i libri andavo bene, e gli chiese: 'Quando mi dai il terzo?'” e così nacque davvero Montalbano come personaggio seriale".
La squadra di Montalbano, nella serie TV |
La popolarità è cresciuta nel tempo; certo l'effetto tv ha potenziato il tutto, ma Antonio ricorda che già nel 1998 (il debutto su Rai2, con Il ladro di merendine, è del 1999) ci furono sei libri della serie in classifica tra i più venduti. E cita un altro episodio. “Camilleri fece un libro per Mondadori. Si chiamava Un mese con Montalbano e a Segrate fecero una copertina blu che somigliava alle nostre. Addirittura ci misero una foto scattata da mio padre Enzo. Questo paradossalmente ci favorì, rese i nostri libri successivi più riconoscibili anche a chi prima non aveva mai comprato un libro Sellerio”.
Sull'amore per Montalbano e il modo in cui ci ha accompagnato negli anni, l'editore puntualizza che, senza mai diventare 'politico', Camilleri ha saputo raccontare – con un libro l'anno – i cambiamenti del Paese: “Ci ha raccontato la mutazione antropologica del berlusconismo, l'immigrazione, la crisi” spiega Sellerio “e l'ha fatto con una lingua unica”.
Proprio sulla lingua, che è l'aspetto peculiare della letteratura di Camilleri, lo stesso scrittore spiegò nel 1998 che l'uso del siciliano nelle sue pagine derivava dalla convinzione che “l'unica mia voce possibile sarebbe stata quella che io parlavo in famiglia, sia pure con le differenze che ci sono tra il parlare e lo scrivere. Il tessuto base era quello del parlato familiare, un intreccio di dialetto e lingua italiana».
Un atto di coraggio letterario che ha pagato al di là di ogni aspettativa, in qualche modo cambiando il panorama del giallo italiano. “Si, credo che l'attenzione di Camilleri per la lingua sia stata d'esempio per tutta una generazione di giallisti. E' per questo che, credo, Salvo Montalbano è il più importante personaggio seriale della nostra letteratura”.
Sull'amore per Montalbano e il modo in cui ci ha accompagnato negli anni, l'editore puntualizza che, senza mai diventare 'politico', Camilleri ha saputo raccontare – con un libro l'anno – i cambiamenti del Paese: “Ci ha raccontato la mutazione antropologica del berlusconismo, l'immigrazione, la crisi” spiega Sellerio “e l'ha fatto con una lingua unica”.
Proprio sulla lingua, che è l'aspetto peculiare della letteratura di Camilleri, lo stesso scrittore spiegò nel 1998 che l'uso del siciliano nelle sue pagine derivava dalla convinzione che “l'unica mia voce possibile sarebbe stata quella che io parlavo in famiglia, sia pure con le differenze che ci sono tra il parlare e lo scrivere. Il tessuto base era quello del parlato familiare, un intreccio di dialetto e lingua italiana».
Un atto di coraggio letterario che ha pagato al di là di ogni aspettativa, in qualche modo cambiando il panorama del giallo italiano. “Si, credo che l'attenzione di Camilleri per la lingua sia stata d'esempio per tutta una generazione di giallisti. E' per questo che, credo, Salvo Montalbano è il più importante personaggio seriale della nostra letteratura”.
Statua del Commissario Montalbano, a Porto Empedocle |
Fotogramma dalla serie TV: Montalbano a Marinella |