AN ANTHOLOGY OF THOUGHT & EMOTION... Un'antologia di pensieri & emozioni
הידע של אלוהים לא יכול להיות מושגת על ידי המבקשים אותו, אבל רק אלה המבקשים יכול למצוא אותו

Thursday 31 March 2016

MUSICA, MUSA MIA

La musica è l’arte che è più vicina alle lacrime e alla memoria. (O. Wilde)

La musica riveste un ruolo importante nella vita delle persone e in modo particolare degli adolescenti. La musica permette alle nostre corde più profonde di vibrare e ci fa sentire in modo forte le emozioni che confusamente in noi si agitano. Allo stesso tempo la musica ha un grande potere calmante e perfino catartico (di purificazione… insomma una grande agitazione interiore al termine della quale, però, ci sentiamo come liberati e sereni), rappresentando in modo simbolico, come un oggetto di fronte a noi (e in definitiva come in uno specchio), le angosce e le pulsioni più estreme con le quali da sempre gli esseri umani si sono confrontati. Queste pagine di Silvia Vegetti Finzi, mi sembrano particolarmente illuminanti e quindi le riporto qui appresso...
***
Il linguaggio universale che attraversa le culture giovanili da una parte all’altra del pianeta è la musica: un sogno a tutto volume che esalta le emozioni, amplifica i desideri, dilata le fantasie. Nelle sue infinite variazioni la musica fa da sfondo all’adolescenza, segnando di generazione in generazione un’età, un’epoca, un  modo di vivere, di soffrire e di amare. Chi non ha mai provato uno struggente senso di nostalgia nel riascoltare per caso un ritmo, una voce, una canzone che rievoca il tempo della giovinezza? Ma oggi la musica non è più circoscritta a momenti particolari: dilaga sempre e ovunque. I ragazzi vivono immersi in un mare di suoni che scandiscono la loro vita come un leitmotiv permanente. Ascoltando musica da soli, in coppia, in gruppo o in centomila. Nella loro stanza, per strada, nel metro. Ai concerti, in discoteca, in birreria. Mentre studiano, leggono, pensano, parlano, discutono, fanno l’amore.
Oltre a rappresentare un fenomeno culturale di proporzioni vastissime, la musica acquista per i ragazzi significati profondi che spesso sfuggono alla comprensione degli adulti. Il suo linguaggio sempre più multietnico, ricco di messaggi che avvicinano i giovani di ogni razza e cultura, rappresenta un inno di appartenenza al gruppo: un lessico in cui tutti si riconoscono e in cuiconfluiscono le stesse emozioni condivise. Attraverso una moltitudine di suoni scanditi da parole spesso provocatorie, debordanti, estreme, la musica che gli adolescenti amano parla per loro, esprime quello che è difficile non solo dire ma anche pensare: la ricerca di se stessi, della propria identità, il significato dell’esistere, l’amore, il sesso, il desiderio di rivolta, la violenza, la morte, la speranza.
Per quanto possa sembrare sconvolgente e pervasiva, nel suono come nelle parole, la musica ha un grande potere calmante: consente di dare un significato simbolico a sentimenti, emozioni e angosce che altrimenti rischiano di debordare. Proprio per questo ascoltarla in solitudine crea un clima che favorisce la concentrazione: inutile stupirsi o preoccuparsi, quindi, se i ragazzi studiano a suon di musica. Il suo ritmo, le sue vibrazioni non li distolgono dall’apprendimento: creano invece una barriera che li protegge non solo dalle intrusioni esterne, ma anche dalle proprie ansie.
A livello più profondo, inconscio, come osserva lo psicoanalista Franco Fornari, la musica ha il potere di rievocare quel “bagno di suoni” in cui ognuno di noi è stato immerso prima di nascere, nella vita intrauterina, quando il tempo era scandito dal battito del cuore materno: un altro mondo, per sempre perduto, senza la memoria del quale non sembra possibile vivere. E il cui ricordo riaffiora come una musica interiore dal significato misterioso, inafferrabile in tutto ciò che è ritmo, vibrazione, suono. Con un effetto consolatorio, pacificante, che acquieta le tensioni. Ed è proprio per questo che i ragazzi si chiudono in camera ad ascoltare per ore la loro musica, quando si sentono in ansia, soli, depressi o sovreccitati. O si addormentano cullati dalle percussioni del rap o di una melodia etnica come d a una nuova ninna nanna.
La passione per la musica non manca di aspetti inquietanti, per i genitori: i suoi idoli evocano un mondo di trasgressioni estreme che si riflette non solo nei messaggi delle loro canzoni ma anche nella loro vita. Da Jim Morrison in poi, non si contano i nuovi “poeti maledetti” caduti sull’altare pagano del “sesso, droga & rock’n roll”. E i poster giganteschi con i quali i ragazzi tappezzano la loro camera, affiancandoli a quelli di miti intramontabili come James Dean, non sembrano presagire nulla di buono. Fino a che punto gli adolescenti rischiano di identificarsi in questi eroi negativi e nei loro messaggi? Il dubbio è legittimo, vista l’enorme suggestione che esercitano gli idoli del sound. Si dimentica però che non rappresentano dei modelli di vita reale ma dei miti: sono personaggi emblematici che mettono in scena dal vivo le passioni e le angosce del nostro tempo, proprio come i protagonisti dei grandi romanzi che hanno segnato un’epoca, dal Giovane Werther di Goethe ad Anna Karenina di Tolstoj. Come avviene nel teatro e nella letteratura, anche la trama della loro vita trasfigurata dal mito esercita un effetto catartico: ha il potere di sciogliere l’angoscia attraverso la sua rappresentazione simbolica.
Se gli idoli della musica affascinano tanto i ragazzi, è perché mettono in scena le loro stesse passioni, il loro stesso desiderio di rivolta, di trasgressione, di protesta. Ed è sul piano della fantasia, dell’immaginazione che si identificano con loro, senza bisogno di imitarli per sentirsi esistere. Certo, ci sono anche ragazzi che muoiono per overdose come Jim Morrison, proprio come in piena epoca romantica si uccidevano per amore, come il giovane Werther. Ma se soccombono alla suggestione della droga e della morte non è solo perché si sentono irresistibilmente spinti a imitare i loro idoli. È perché sono approdati all’adolescenza con una struttura psichica e affettiva troppo fragile, vulnerabile, per reggere le trasformazioni di questa età e le angosce di morte che si accompagnano ai processi di separazione in atto. Il vero rischio non viene dall’esterno, dagli eroi negativi e dai loro messaggi, ma da un mondo interiore provo di quella fiducia di base che rende la pulsione di vita più forte della pulsione di morte. È questa base sicura che mette al riparo l’adolescente dalle spinte autodistruttive che, in assenza di un solido argine interiore, possono trovare sbocco nei paradisi artificiali e nella vita spericolata evocati dagli idoli rock come in molte altre forme di disagio giovanile.
~ * ~
... e poi:
Musica, emozioni e cervello. 
Studi recenti sulla neuropsicologia delle emozioni evocate dalla musica


Exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi (“La musica è l’esercizio matematico nascosto di una mente che calcola inconsciamente”).
Gottfried Wilhelm Leibniz, Epistolae ad diversos,
lettera 154 a Goldbuch, 1712.

La musica è l’unico, tra tutti i linguaggi umani, che riunisce i caratteri contraddittori d’essere a un tempo stesso intelligibile e intraducibile.
Claude Lévi-Strauss (1964). Il crudo e il cotto.
Bompiani, Milano 1966, p. 36.

Introduzione a tesi di laurea, di G. Taraglio (2013)

La musica è presente in ogni cultura, e occupa un ruolo di primo piano nella vita quotidiana delle persone, può indurre emozioni profonde e per questo rappresenta un’esperienza emotiva particolarmente gratificante per chi l’ascolta. Il tema delle emozioni legate alla musica, a cominciare dalla filosofia greca, è rimasto per lungo tempo dominio dei filosofi, come documenta il numero impressionante di teorie sulla musica e l’emozione. Solo in tempi relativamente recenti le formulazioni teoriche sulle potenzialità della musica di suscitare emozioni o di alterare l’umore sono state accompagnate da ricerche empiriche, in particolare grazie allo sviluppo delle neuroscienze cognitive e ai suoi strumenti di indagine, che hanno reso possibile lo studio diretto dell’attività cerebrale durante la percezione e la produzione di suoni musicali. Spesso si considera la musica come il “linguaggio delle emozioni”: la sua capacità di evocare e esprimere emozioni ne costituisce la caratteristica fondamentale e primaria. La musica esprime emozioni che gli ascoltatori percepiscono, riconoscono, o da cui vengono emotivamente toccati. Inoltre, diversi studi hanno suggerito che il motivo più comune per cui si ascolta la musica è quello di poter influire sulle emozioni, per modificarle, per liberarle, per sintonizzarsi con il proprio stato emotivo, per rallegrarsi o consolarsi, o per ridurre lo stress. Indubbiamente, i dati indicano che la maggior parte delle persone fa esperienza di musica (in qualche modo, da qualche parte) ogni giorno della propria vita, spesso associandola a una reazione affettiva di qualche tipo (per esempio, il riconoscimento nostalgico di una delle proprie canzoni preferite ascoltata alla radio, la frustrazione verso una certa musica diffusa in un centro commerciale, la gioia di ascoltare un magnifico concerto dal vivo, la tristezza evocata dalla colonna sonora di un film). Eppure, il fatto che la musica possa evocare emozioni profonde è un mistero che ha affascinato gli studiosi fin dall’antica Grecia. Perché reagiamo alla musica con le emozioni, anche se la musica non sembra avere implicazioni per i nostri obiettivi di sopravvivenza? Come possono dei “semplici suoni” coinvolgerci così tanto? Spiegare come e perché la musica possa evocare emozioni in chi l’ascolta è estremamente importante, dal momento che la musica viene già utilizzata, in società, in una molteplicità di modi che presumono la sua efficacia nell’evocare emozioni, come la musica da film, il marketing, la musicoterapia. È vero che si stanno gradualmente accumulando dati che dimostrano come la musica abbia effetti benefici sulla salute, il che potrebbe essere impiegato sistematicamente nella misura in cui riusciamo ad avere una comprensione dei suoi meccanismi sottostanti. L’emozione è altresì centrale al processo creativo della musica, sia nell’esecuzione che nella composizione musicale. Molti musicisti hanno sottolineato il ruolo cruciale delle emozioni nella scrittura, apprendimento e interpretazione della musica. Se l’interesse per l’elaborazione cerebrale della musica affascina i neuroscienziati da oltre un secolo, è solo nell’ultimo decennio che l’argomento è diventato un ambito di studio intenso e sistematico, e questo perché in ambito neuroscientifico ci si è resi conto che la musica offre un’opportunità unica per comprendere meglio l’organizzazione del cervello umano, sollevando quesiti importanti su una varietà di funzioni cognitive complesse: essa rappresenta infatti un prezioso strumento di indagine non soltanto per i sistemi uditivi e motori coinvolti nella percezione e nella produzione musicale, ma anche per le interazioni multisensoriali, la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, la progettualità, la creatività e le emozioni. In questo lavoro ho cercato quindi di descrivere in particolare la situazione delle conoscenze attuali sul tema della musica e delle emozioni da una prospettiva neuroscientifica, presentando una sintesi di alcune delle ricerche più significative svolte in questi ultimi anni sull’argomento. Cominciando da un approfondimento degli studi condotti da alcuni autori per individuare i meccanismi neurali alla base delle emozioni evocate dalla musica e l’organizzazione cerebrale alla base della loro elaborazione, fino a concludere con alcuni contributi recenti sull’universalità e la predisposizione neurobiologica dell’uomo per la musica.

~Segue testo di tesi, scaricabile in pdf qui: LA MUSICA: IL LINGUAGGIO DELLE EMOZIONI


~ * ~
... e ancora:

Il primo spartito musicale!


L’epitaffio di Sicilo fu scoperto da Sir William Mitchell Ramsay nel 1883, nei pressi di Aydin (vicino ad Efeso), in Asia Minore. È datato tra il 200 a.

C. e il 100 d.C., e contiene un brano che è considerato la più antica composizione musicale completa mai rinvenuta.

Sicilo fu un poeta lirico e un musicista del periodo ellenistico, e questo brano era dedicato a sua moglie, Euterpe; infatti sull’epitaffio c’è scritto Σείκιλος-Ευτέρ [πη], che significa “Sicilo a Euterpe”. La stele di marmo che riporta il testo e il brano musicale andò persa durante la guerra greco- turca (1919-1922), ma venne ritrovata in seguito. Attualmente si trova al Museo Nazionale di Danimarca, a Copenaghen.

La canzone utilizza la notazione greco-antica, in cui le altezze dei suoni sono scritte come lettere sopra le sillabe, mentre le durate delle note sono rappresentate da segni su quelle lettere (ad esempio, assenza di linee significa una durata; una linea significa doppia durata, ecc.). La composizione è uno “Skolion” (σκόλιον µέλος), un genere musicale che poteva essere cantato al termine di un banchetto, di solito accompagnato da una lira: i commensali intonavano ciascuna strofa seguendo un ordine “Skoliòs” e cioè, diremmo oggi, a zig-zag.


Trascrizione nella moderna notazione occidentale:

_______________________________

  • Sulle emozioni della musica, vedi anche: 

Musica, Emozione e Sentimento sul mio blog Vagheggiando

e anche la tesi di dottorato [pdf]: "IL CODICE DELLE EMOZIONI" di M. Cogliani


Tuesday 15 March 2016

LATHE BIOSAS (Λάθε Βιώσας = Vivi nascosto)

Diogene

Mi piace molto, questa espressione di Epicuro. Lathe biosas significa "Vivi nascosto". Un paradosso a tutti gli effetti ai tempi di Internet e delle reti sociali, dove di nascosto non c'è proprio più niente e anzi... tutto (ma proprio tutto) è fatto per essere esposto, disvelato. Nell'anonimato di un Facebook si rischia di travalicare i confini del personale e la comunicazione diventa un po' come un parlare a se stessi, ma nello stesso tempo diventa anche uno schermo bianco dove puoi immaginare  l'interlocutore ideale e allora.. decadono i freni inibitori, le censure, le paure e i filtri  e... lasci libera voce alla tua intimità più profonda.

A volte credo che si rischi di venire sommersi dall'Altro e dalle sue implicite richieste, soprattutto se l'Altro ha un equilibrio fragile; di conseguenza è facile spaventarsi e fuggire impauriti o precipitarsi a ristabilire le distanze. E' un po' come giocare con il fuoco, bisogna essere agili, vigili ed esperti per non bruciarsi o altrimenti bisogna goderne senza temere le scottature; penso che a volte si possano sfiorare belle profondità, mentre in altre veniamo a contatto con i malesseri patologici dell'Altro. E siccome, ahimè, anche noi siamo equilibri fragili, devo dire che questo tipo di comunicazione ci fa un po' paura. 

Ma come si fa, adesso, a vivere nascosti? Ai tempi di Epicuro era la vita politica e sociale quella da cui rifuggire per perseguire la propria felicità indisturbati. Oggi questa frase assumerebbe un altro significato, completamente diverso: i greci certo non avevano il problema dell'overflow di informazioni... noi sì. Ed enorme, incessante. Ci raggiunge, ovunque. E ne siamo totalmente schiavi, altro che "vivi nascosto" – come se da qualche parte ci fosse un imperativo morale (Kant) che ci ordina di essere sempre collegati, aggiornatiAnche io, scrivendo in questo momento e decidendo di pubblicare i miei pensieri sto contribuendo ad aumentare l'entropia devastante determinata dal flusso continuo di dati e informazioni generati da chiunque. Non si vive nascosti, si vive in rete. Il posto meno nascosto della terra.

Come è possibile applicare il "vivi nascosto" di Epicuro? E, oltre a essere (forse) possibile, c'è qualcuno che davvero lo vuole?

Allora prendiamo in considerazione Lucio Anneo Seneca ed il suo De tranquillitate animi, trattato facente parte di quel gruppo di dodici libri che formano i Dialogi (tra gli altri, ad esempio, il De brevitate vitae, il De vitabeata, il Deprovidentia) e che costituiscono, con le Epistulae morales ad Lucilium, il corpus della filosofia senecana.

Unico testo realmente dialogico dei dodici inseriti nei Dialogi - i cui testi non si presentano tanto come dialoghi quanto come trattazioni specifiche in cui Seneca si rivolge di volta in volta a un interlocutore distinto - il De tranquillitate animi fa parte dell’ideale trilogia dedicata all’amico Sereno1 completata dal De constantia sapientis e dal De otio, nella quale Seneca si allontana dalle convinzioni epicuree per abbracciare l’etica stoica.

Il De tranquillitate animi, in particolare, affronta la questione della partecipazione del saggio alla vita politica; si tratta di un tema fondamentale non solo nella riflessione senecana (anche a causa dellevicende autobiografiche dell’autore, consigliere di Nerone e infine costretto al suicidio dopo la congiura dei Pisoni2 del 65 d.C.), ma in buona parte della filosofia romana d’età repubblicana (come ad esempio in Cicerone). 

Nei primi capitoli del trattato, Seneca risponde alle domande dell’amico Sereno, che si interoga sull’opposizione otium - negotium e su come sia possibile risolvere quel taedium vitae che, nella quotidianità, trascina l’uomo nell’inquietudine e nell’insoddisfazione. Il discorso iniziale di Sereno, ancora incerto tra una vita ripiegata sul privato e il desiderio di azione pubblica, occupa tutto il primo capitolo. Oscillante tra queste due tendenze, Sereno si rivolge al filosofo Seneca ponendogli la questione dell’antitesi tra la vita contemplativa e l'attività mondana. Da qui parte un “dialogo” che metterà in evidenza la differenza sostanziale epicureismo e stoicismo.

Seneca risponde infatti all’amico analizzando le passioni che governano l’animo umano. Secondo lui, gli uomini ricercano la felicità negli impegni mondani, ma questi, per loro initma natura, finiscono col condurre all’allontanamento dalla vita politica in favore della ricerca di uno spazio personale e contemplativo: ansie, pressioni, angosce contribuiscono infatti a far maturare il desiderio di fuga dal mondo (secondo la formula diffusa del lathe biosas, ovvero “vivi nascosto”). L’esempio, nelle prime righe del testo, è quello di Atenodoro di Tarso (74 a.C. - 7 d.C.), che sotto il principato di Augusto, preferì abbandonare gli impegni di corte. Eppure, neanche nel ritiro a vita privata c’è vera pace: l’otiumstimolerà sempre il desiderio opposto di tornare alla vita attiva. L’irrealizzazione del desiderio, insomma, è ciò che provoca la frustrazione: l’inerzia e l’invidia per colui che invece riesce a realizzare con successo i propri progetti, sono ciò che porta in ultima analisi al tedio esistenziale3.

La soluzione a questo stato di dissidio e paralisi interiore per Seneca è quella di partecipare ai doveri sociali secondo la propria indole; coloro che possiedono un animo teso all’azione è giusto che partecipino alla vita pubblica, ma essendo ben consapevoli degli innumerevoli rischi che questa porta. Certo è che lo stato ideale sarebbe il raggiungimento dell’atarassia, ma nella vita quotidiana non è una soluzione possibile. Allora il saggio dovrà rendersi utile ai propri concittadini e, invece di astenersi a priori dalla vita pubblica, cercare di fare la propria parte per il bene comune. L’esempio più rappresentativo è del resto proprio quello di un filosofo: Socrate, anche sotto la tirannia, non si sottrasse al proprio “dovere” di stimolare, attraverso al maieutica, il ragionamento e la riflessione critica dei suoi concittadini.

Le passioni non vanno quindi annullate ma moderate, al fine di indirizzare le proprie energie per un miglioramento della società, in un accordo armonico tra vita attiva e otium meditativo. La “tranquillità” è allora la medicina dell’animo più adatta per districarsi negli affanni della vita attiva e per godere di un otium produttivo e non inerte. A sostegno di questa tesi - che in Seneca media le posizioni di Epicuro e dello stoicismo più intransigente - si portano esempi classici di filosofi, uomini politici e militari di professione: lo stoico Zenone di Cizio (336 ca. - 263 a.C.) che si compiace d’aver perduto le proprie ricchezze in un naufragio; Catone l’Uticense (95-46 a.C.), esempio di virtù repubblicane di fronte al potere; Giulio Cano, messo ingiustamente a morte dall’imperatore Caligola (12-41 a.C.), che si presenta sereno di fronte al boia dopo aver giocato a lungo a scacchi.

La questione degli influssi filosofici dietro al De tranquillitate animi deve prendere innanzitutto in considerazione l’identità del dedicatario ed interlocutore dell’opera, cioè Anneo Sereno, amico personale di Seneca. Convertitosi dall’epicureismo allo stoicismo, Sereno si interroga sull’opportunità che il saggio partecipi alla vita pubblica, e quindi politica. Le posizioni delle due scuole antiche sono, a tal proposito, quasi diametralmente opposte.

Infatti, secondo la filosofia di Epicuro, il saggio non deve occuparsi di questioni pubbliche, in quanto ogni occupazione civile allontana inevitabilmente il saggio dal lungo percorso verso l’atarassia. Solo se la città verte in una situazione estremamente grave, è lecito che il saggio abbandoni la vita contemplativa per accorrere in soccorso della patria. Gli stoici, invece, assumono una posizione più “pratica”, sottolineando come sia fondamentale che il saggio prenda parte attiva alla vita politica, al fine di essere con il suo operato e le sue azioni di esempio agli altri cittadini.

Seneca, di fronte a questo dissidio, suggerisce una mediazione tra i due estremi, rappresentati da un otium prettamente contemplativo e da quell’impegno a servizio dello Stato che è caratteristico del civisromano. Il comportamento da mantenere dovrà allora, secondo Seneca, essere coerente alla situazione politica, e rivolto sempre al mantenimento della serenità interiore e della capacità di giovare agli altriattraverso l’esempio personale. Seneca si dilunga così in considerazioni di carattere pratico, come la riflessione sull’inquietudine causata da un’eccessiva ricchezza, o a consigli su come riuscire a conseguire quella tranquillitas, che si basa su una buona capacità di coltivare le amicizie e di essere tollerante nei confronti del prossimo. Insomma, la forza morale che consente al saggio di procedere sulla via della virtù è l’unico mezzo per raggiungere l’imperturbabilità necessaria alla serenità interiore. A queste considerazioni non saranno estranee delle circostanze autobiografiche: è infatti probabile che il “dialogo” sia stato composto qualche anno prima del definitivo ritiro dalla vita pubblica. Di conseguenza, non si è ancora manifestata in Seneca la tendenza favorevole all’otium filosofico come dimensione esclusiva per l'attività del filosofo.

________________
1 Anneo Sereno, funzionario della corte di Nerone (37-68 d.C.), si convertì dall’epicureismo alla filosofia stoica, diventando un discepolo di Seneca (con cui forse era imparentato).
2 La morte di Seneca, da cui traspaiono tutti gli insegnamenti dello stoicismo, è ricordata in un passo celebre (XV, 62-64) degli Annales di Tacito.
3 Da questo punto di vista, gli svaghi in cui chi sprofonda nella noia si diletta per distrarsi sono molteplici in ogni punto d’Italia, ma raggiungono il loro apice a Roma, dov’è possibile, con l’accesso ai giochi circensi, godere dello spargimento del sangue di altri uomini.
________________
________________


‘Get Off Facebook And Get A Life’
13 March, 2009

A psychologist is urging people to get off Facebook and other social networking sites, and get a life instead.

Dr Aric Sigman says the amount of time we spend with each other has slumped dramatically and in turn is damaging our health.

He says our devotion to such sites could alter the way genes work, upset immune responses, hormone levels, and the function of arteries, and influence mental performance.

Levels of hormones such as the “cuddle chemical” oxytocin, which promotes bonding, altered according to whether people were in close contact or not.

This could increase the risk of health problems as serious as cancer, strokes, heart disease, and dementia.

Dr Sigman spells out his warning in the latest issue of Biologist, the journal of the Institute of Biology, and maintains that social networking sites have played a significant role in people becoming more isolated.

He said: “Social networking is the internet’s biggest growth area, particular among young children.

“A quarter of British children have a laptop or computer in their room by the age of five and they have their own social networking sites, like the BBC’s myCBBC. It’s causing huge changes.”

Dr Sigman said 209 “socially regulated” genes have been identified, including ones involved in the immune system, cell proliferation and responses to stress.

Electronic media is also undermining the ability of children and young people to learn vital social skills and read body language, he said.

Dr Sigman continued: “One of the most pronounced changes in the daily habits of British citizens is a reduction in the number of minutes per day that they interact with another human being.

“In less than two decades, the number of people saying there is no one with whom they discuss important matters nearly tripled.

“Parents spend less time with their children than they did only a decade ago. Britain has the lowest proportion of children in all of Europe who eat with their parents at the table. The proportion of people who work at home alone continues to rise.

“I am worried about where this is all leading. It’s not that I’m old fashioned in terms of new technology, but the purpose of any new technology should be to provide a tool that enhances our lives.

“Social networking sites should allow us to embellish our social lives, but what we find is very different. The tail is wagging the dog. These are not tools that enhance, they are tools that displace.”

Research suggests the number of hours people spend interacting face-to-face has fallen dramatically since 1987 as electronic media use increases.

(Source: ITN)